A un certo punto della sua vita Ludovico decise di volare. Fu una risoluzione che prese all’improvviso senza un motivo particolare e senza che niente nei giorni precedenti avesse potuto far presagire un simile intento tant’è che ancora oggi sua moglie e sua figlia Isolina non riescono a farsene una ragione. Ad ogni modo, un bel giorno Ludovico aprì la finestra del bagno, salì sul davanzale e spiccò il volo. All’inizio dovette faticare un po’ per prendere quota, dal momento che abitava solo al primo piano e proprio di fronte casa sua c’era il palazzo della Posta. Anzi per un momento ebbe paura di andarci a sbattere contro ma poi, all’ultimo momento, cominciò a prendere quota e sfiorando il palazzone andò su, sempre più su, fino a stare più in alto perfino del campanile del Duomo. Da lì poteva vedere tutta la città: i palazzi, corso Umberto, la chiesa di San Vincenzo, Piazza del Municipio. Facevano uno strano effetto da lassù… Ludovico fece tutto il giro della città a bassa quota, quasi a voler imprimere bene nella mente quelle immagini irripetibili. Era senza parole come un bambino davanti a un barattolo di cioccolata di dieci chili. Ma quello che lo impressionava di più era la gente: strani puntolini che andavano avanti e indietro come biglie impazzite. Per la prima volta si chiese dove mai andassero e rise, dimenticando che anche lui, per anni, aveva fatto lo stesso. Poi, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo, si diresse verso nord-est. Gradatamente aumentò la velocità fino a quando sentì le orecchie fischiargli e il cuore battere forte. Dopo un po’, guardò giù e vide un piccolo paesino. Piano piano cominciò a scendere. Le case, prima piccole, si facevano man mano più grandi. Soprattutto una. Una casa in periferia con un piccolo giardino e un solo albero, una grande quercia. Fu lì che Ludovico si sedette, su un ramo che stava all’altezza dell’unica finestra del primo piano. S’intravedeva una cucina, un tavolo apparecchiato e una donna che stava mettendo una grossa pentola sul fuoco. Dopo aver acceso il fornello si affacciò alla finestra.
– Ciao, – disse lei, come se fosse naturale vederlo sulla quercia.
– Ciao, – rispose Ludovico, – che stai facendo?
– Preparo da mangiare, tra poco torna mio marito dal lavoro …
– Ti sei sposata? – chiese lui.
– Sì, e tu?
– Sì, ho anche una figlia. Si chiama Isolina.
– Io ne ho tre. Tutti maschi. Ora stanno dalla nonna.
– Mi hai mai pensato in tutti questi anni? – chiese lui quasi sottovoce.
Lei guardò un punto lontano dietro il grande albero.
– Veramente no. Sai, ho sempre tanto da fare e tempo, proprio non ne ho.
– Neanche io, – disse Ludovico senza che lei gli avesse chiesto niente.
– Sono contenta, pensare fa solo soffrire …
– Hai ragione.
Restarono un attimo in silenzio. Un attimo che avrebbe potuto durare tutta la vita se lei non avesse dovuto buttar giù la pasta.
– Scusa Ludo, – disse la donna, chiamandolo col nomignolo che gli aveva dato quando stavano insieme, – ma l’acqua bolle, devo rientrare.
– Vai, vai, – disse lui comprensivo.
Si lasciarono con un cenno della mano. Lui restò un attimo a guardarla mentre armeggiava tra i fornelli e poi, dopo un lungo sospiro, riprese a volare.
La notte era lunga e aveva ancora tanti posti dove andare.
di Ferdinando Gaeta
foto di Francesco Spatola
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