4. Una sera che avevo bevuto…

Una sera che avevo bevuto più di una birra al doppio malto ( non c’è abitudine, né frequentazione all’alcol) me ne tornavo a casa con passo dondolante e il mio solito fascio di fogli scritti sotto il braccio. All’improvviso non so come né perché inciampai e tutti i fogli mi scivolarono a terra. Dovetti per forza raccoglierli se non volevo perderli. Del resto quello era il frutto del lavoro di tutto il pomeriggio ( a questo ci arrivavo senza problemi). Fu così che mentre raccoglievo lentamente i fogli cominciai a leggere parole sparse prese chi da un rigo chi da un altro. Ed ecco che le mie amate parole mi apparvero di una bellezza indescrivibile, erano così intrise di ardore e di passione che mentre le leggevi lo trasmettevano in una forma pulita, chiara, semplice, evidente. Mi fermai per molto tempo lì dov’ero colpito da quello che mi stava accadendo ( ero sotto la luce di un lampione e non si vedeva poi tanto bene). Dopo a casa cercai di leggere le parole in riga così come le avevo scritte, ma non vedevo che un ammasso di lettere alla rinfusa il cui contenuto mi era francamente incomprensibile. Trovai la chiave del mistero il giorno dopo ( e dopo averci dormito sopra). Capii che bisognava leggermi quando si è almeno leggermente brilli e non si fa tanto caso alla successione lineare delle parole. Da allora seppi, in modo definitivo, che qualsiasi contenuto nuoce alla mia scrittura. [K]

di Francesco Di Lorenzo

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