Biblioteca Nazionale

biblioteca nazionaleLa Biblioteca Nazionale di Napoli è un posto niente male. Nelle sue sale c’è una pace e una tranquillità che non esistono da nessuna parte. Perfino i rumori della città arrivano affievoliti, quasi piacevoli. Antonio Esposito ne era diventato un frequentatore assiduo. Faceva il commesso in un negozio di abbigliamento a via Roma, proprio a quattro passi, e per anni aveva avuto il problema di dove andare durante la chiusura pomeridiana. Tornare a casa non gli conveniva: abitava in un paesino del circondario e fra andata e ritorno avrebbe dovuto sorbirsi altri sessanta chilometri. Di conseguenza pranzava alla tavola calda. Ma lì, prima ancora di finire il pasto turistico, come lo chiamava lui, c’era già qualcuno che lo guardava con occhi rapaci pronto a prendere il suo posto. Per far passare le altre due ore buone che lo separavano dalla riapertura del negozio, era costretto a passeggiare senza meta per le strade partenopee. Un’attività che a lungo andare si rivela poco entusiasmante. Una volta, mentre era seduto su una panchina a piazza Plebiscito, di fronte alla biblioteca, gli venne un’idea geniale. Si alzò deciso ed entrò nel palazzo del re delle due Sicilie. Non senza soggezione salì l’imponente scalone e d’incanto si ritrovò in un mondo a lui sconosciuto. “Che fesso a non venirci prima” pensò, mentre assaporava beato la calma e la serenità di quel luogo. Chiese a un’impiegata cosa fare per avere un libro, e in risposta ebbe una scheda da compilare ed alcune indicazioni. Aprì a caso lo schedario alla lettera “C”, copiò tutto quello che c’era da copiare e consegnò il foglietto. Dopo dieci minuti, con un grosso libro tra le mani, si avviò verso la sala lettura dove ebbe cura di scegliersi l’angolino più riparato. Appoggiò alla lampada da tavolo il volume a mo’ di schermo, si aggiustò sulla sedia e chiuse gli occhi. Alle cinque precise si svegliò e se ne andò, fresco come una rosa. Per mesi andò tutto liscio come l’olio. Antonio era contento: neanche a casa sua riusciva a fare dei sonni così saporiti. Non solo. A forza di respirare, seppure inconsciamente, quell’aria gravida di sapienza aveva cominciato anche lui a farsi un po’ di cultura. Già quando si presentava all’accettazione non aveva più l’imbarazzo delle prime volte. Adesso sapeva bene qual era il volume che gli interessava, e prendeva sempre quello: “Compendio di filosofia comparata”. Quel libro gli piaceva. Sia per la robusta rilegatura che non lo faceva piegare sul tavolo, sia per la grandezza del formato che serviva meglio a ripararlo da sguardi indiscreti. “Ora capisco perché i libri sono i migliori amici dell’uomo” pensava, ricordando una frase del suo vecchio maestro elementare, e sorrideva soddisfatto.

In un bel giorno di primavera, dopo una lunga malattia, il professore Augusto Montanini finalmente poté uscire di casa. Con un’espressione felice, come non gli capitava da tempo, s’incamminò verso la biblioteca con il suo passo da vecchio: del resto non poteva essere che così, aveva ottantun anni. Salendo la scala ampia e poco faticosa per via dei gradini bassi, ogni tanto doveva fermarsi lo stesso per riposare. Riusciva a camminare in pianura per un tempo anche sostenuto, certo non lungo, ma appena saliva qualche scalino il fiato gli mancava. Però di questo non si lamentava. Era saggio, accettava la vita. Aveva letto nell’arco di tanti anni una quantità enorme di carta stampata, e a qualche cosa doveva essere servita.  Chiese gentilmente il libro che gli serviva e aspettò seduto in una poltrona vicino al finestrone che dava sul mare. La vista del golfo e del Vesuvio resero ancora più piacevole il pensiero delle pagine che tra pochi minuti avrebbe avuto davanti agli occhi e su cui avrebbe potuto lavorare come sempre aveva fatto. Fu chiamato quasi subito e di questo si rallegrò, ma capì presto, dall’espressione dell’impiegato, che non ne aveva motivo: il libro era in lettura. Fece il pari e dispari, aspetto o vengo domani? Decise di ritornare il giorno dopo, e lentamente, con le mani sulla ringhiera, scese le scale che poco prima aveva salito.

Quello stesso giorno Antonio si svegliò tardi, una mezz’ora dopo il solito orario. Si rese conto di essere nella biblioteca come ogni pomeriggio perché di fronte aveva una libreria alta venti metri (così sono alte le librerie alla biblioteca di Napoli) con file di volumi enormi. Si alzò svelto, chiuse il libro e lo riportò all’accettazione. Fece le scale in un minuto e dopo poco era al negozio pronto per affrontare l’altra mezza giornata di lavoro.

Il pomeriggio seguente, puntualmente il filosofo fece la salita delle scale al solito modo ma con un fastidio in più. Le scarpe nuove gli facevano male. Era sul collo del piede che il dolore si concentrava, e quello è un dolore fastidiosissimo. Comunque chiese il libro e aspettò. Dopo dieci minuti ebbe la stessa risposta del giorno prima: era in lettura. Questa volta ci pensò un momento su, stava per dire qualcosa all’incaricato ma una fitta di dolore al piede lo fece desistere. Credette bene di andarsene. “Anzi”, pensò “domani non ci vengo, torno dopodomani e di sicuro sarà disponibile”.

Il giorno dopo Antonio non riuscì a dormire. C’era un insistente rumore che veniva dalla finestra, e lui, un poco scivolato sulla sedia, con i piedi incrociati e il libro davanti, non riusciva a prender sonno. Una scavatrice meccanica proprio là sotto operava indisturbata. Fu costretto a uscirsene dopo neanche mezz’ora e andò a fare quattro passi vicino al mare. La sera però si sentì stanco. Quelle orette di sonno mancate si facevano sentire.

Quando il professore salì affannandosi le scale per la terza volta in quattro giorni, e di nuovo si sentì rispondere che il libro era in lettura, fece una smorfia che non voleva essere di disappunto ma solo di stanchezza. Pensando di aver offeso l’addetto disse, con la voce più affabile che poteva, “Sa, è la terza volta che lo chiedo e non c’è mai”. “Beh, non possiamo farci niente” replicò secco l’impiegato, che seppure stava sempre tra i libri non aveva capito un bel niente della vita e rispondeva infastidito a chiunque perché quel mestiere non gli piaceva. Il suo sogno era lavorare alle poste. Il professore tornò di nuovo il giorno dopo e questa volta gli andò meglio. Certo non trovò quello che cercava, ma allo sportello c’era una bella signora bionda con grandi occhi chiari e molto dolce in viso. Con estrema cortesia la donna spiegò che le dispiaceva moltissimo, ma non poteva accontentarlo perché il libro era in lettura. Il filosofo, rinfrancato per l’educazione della signora, le disse che ormai era una settimana che non riusciva a studiare e cautamente chiese se lei poteva fare qualcosa. L’impiegata sorrise. Poi frugò in uno schedario di servizio; lesse, riguardò meglio e poi disse che di quel libro c’era una sola copia e quindi non poteva aiutarlo in nessun modo. Com’era disponibile! Evidentemente a lei stare tra i libri faceva bene, e chissà se non ne leggeva anche uno ogni tanto. Sicuramente sì, viste le circostanze. Lo studioso, approfittando dell’occasione favorevole, ammirò il volto intelligente e bello della signora e ne apprezzò la freschezza e l’armonia delle linee mentre lei rimetteva a posto le schede. Poi quando i loro occhi si incontrarono di nuovo, quelli di lei sempre accondiscendenti, riprese a parlare del suo problema. La donna, a riprova della sua gentilezza, chiese a un collega ulteriori notizie sul libro. Inaspettatamente l’uomo disse che vedeva sempre lo stesso giovane prendere quel volume. Però non sapeva essere più preciso perché all’accettazione si davano spesso il cambio. Aggiunse che aveva notato, le volte che era stato di turno, il suo sguardo assonnato, e fece una battuta sulla pesantezza dei libri; ma senza essere cattivo. Il professore che aveva ascoltato tutto, quando l’altro andò via disse “Noi studiosi dopo aver lavorato siamo sempre un po’ stanchi”. Lo  disse come a voler scusarsi per il “collega” che ogni giorno sgobbava su quel tesoro. La signora capì. Mentre scendeva la scala il filosofo pensò che forse il libro serviva di più a quel giovane, e che in fondo era contento se qualcuno ci metteva tanto a studiarlo, voleva dire che era coscienzioso.

La questione due giorni dopo si risolse. Ormai erano quattro pomeriggi che Antonio Esposito non riusciva a dormire. Quando tornava al negozio si sentiva nervoso e una volta aveva anche litigato con il proprietario. Era disperato. Il rumore non sarebbe finito presto: la scavatrice era impegnata nei lavori per la metropolitana e di sicuro gli sarebbe sopravvissuta. Arrivò a maledire i mezzi pubblici, e passava molto del suo tempo a scervellarsi per trovare un altro posto tranquillo… ma a questo punto non è che ci interessi molto. Diciamo solo che in seguito avrebbe risolto tutti i suoi problemi trovandosi un’amante, innamorandosi e passando i pomeriggi in modo diverso. Col tempo, la biblioteca e la scavatrice divennero nient’altro che ricordi. Il professor Montanini invece tornò ancora alla biblioteca. Questa volta più per parlare con la signora che per il libro. Aveva concluso che bisognava fare largo ai giovani, in particolare a quelli che mostrano tanto zelo nello studio. La donna però non c’era, e a stento riuscì a mascherare la sua delusione. In compenso dopo qualche minuto ebbe finalmente il libro tra le mani. Carezzò la copertina e si avviò lentamente nella sala lettura, scegliendosi un posto appartato. Aprì il libro, guardò il frontespizio, lesse la data di edizione: proprio quella che cercava. Tentò di sfogliarlo ma si accorse che le pagine erano tutte attaccate. Escluso per due centrali, per il resto era completamente intonso. Si capiva che nessuno lo aveva letto da quando era uscito dalla tipografia. Il vecchio professore-filosofo sorrise e pensò allo sbaglio della signora bionda. Sicuramente di quel libro ce n’erano due copie. Ma non si indispettì, anzi. Era disposto a perdonare, specialmente le persone gentili.

di

Francesco Di Lorenzo & Ferdinando Gaeta

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