Marx

A me, mi ha inguaiato Marx.

Detto così sembra o una cosa enorme o una mezza cazzata. A seconda dell’umore. Ma, bisogna sempre aspettare per giudicare. Datemi, quindi, il tempo di spiegare. 

Sono un operaio disilluso. È vero. Faccio parte di quella schiera non infinita, ma neanche tanto esigua, di persone che si informano, leggono e criticano. Insomma, vorrei dire la mia e vorrei essere preso in considerazione, nonostante io sappia che nessuno se ne fotte di niente. Di me poi, figuratevi.

Ma, per ritornare al fatto che mi ha inguaiato un certo Carlo Marx, adesso comincio a spiegarvi per filo e per segno com’è andata la faccenda.

Questa è la sintesi.

 

Da giovane, frequentando un certo ambiente, ho letto anche Marx. Non tutto certamente… e, di quel poco, ho capito quel che ho capito. Quasi niente. Scherzo! Di Marx so molto per averlo appreso da altri, da quelli che lo hanno letto per bene. E mi piace. Mi piace la sua serietà, la sua vita da povero, ma sempre dignitoso borghese, la sua dedizione ai figli, il suo amore per la moglie. E l’amore della moglie per lui. Magari questo non sarà del tutto certo. Ad esempio, qualcuno ha detto che mise incinta la sua cameriera. Sarà vero? Boh?  Ma poi, chi se ne importa! Importa molto di più sapere dei suoi lunghi anni di studi intensi e solitari, la sua capacità di essere, allo stesso tempo, visionario e scienziato. La sua vena polemica e rivoluzionaria negli articoli che scriveva per i giornali e le riviste, coniugata con il sarcasmo e la ferocia nello scovare le miserie degli altri.

Ma, questo è ancora  il contorno. Il piatto forte è racchiuso, per me, tutto in una sua pagina, quella che alla fine mi ha fregato. Si tratta di questo. Marx dice che nella società alienata e capitalistica, l’uomo è soggiogato da forze oscure che determinano la sua vita, tanto che egli non è padrone del proprio destino. Mentre invece (e queste sono le sue parole) “… nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico.” Bello no? Se fosse vero. Se il mobile fosse acquistabile, per dire. Se non avessi io trascurato di pensare che bisognava aspettare appunto la società liberata. E non fare come ho fatto io, che mi sono illuso di vivere già nel comunismo.

E così, non ho preso mai niente sul serio, non sono mai andato fino  in fondo ad alcunché, non mi sono specializzato in nulla, sentendomi ‘ora questo ora quello’ e, cosa grave, pensando che tutti vivessero con la mia stessa convinzione. Insomma, mentre gli altri erano in piena competizione e spintonavano e mettevano sgambetti per arrivare, per superare, per metterlo nel sedere a chiunque e avvantaggiarsi: io ero lì che li guardavo da superiore, e pensavo:

“Ma che stupidi che sono tutti questi, ma chi glielo fa fare di affannarsi in questo modo?”

A volte, in pieno attacco snobistico, ho pensato anche:

“Ma che villani!” senza andare oltre e senza aggiungere altro.

La cosa grave è che loro, gli altri, mi prendevano per il culo alla grande. Mi dicevano che avevo ragione io, che stavo nel giusto e che magari… avrebbero voluto essere come me. Ma che purtroppo,  invece… E così, in preda ad un  mezzo sconforto come quando scopri di essere stato fregato, mi sono sfogato con un mio amico intellettuale.

Quando gliene ho parlato, lui mi ha detto che ho fatto bene a capire male. Che ho frainteso e che il fraintendimento è sempre creativo. E che, quindi, io avrei vissuto meglio degli altri pensando di essere già in una società più equa e più a misura d’uomo. Mi ha detto anche che ho messo in pratica uno slogan molto in voga nel sessantotto, quello che diceva, ‘Quando il dito indica la luna, l’imbecille guarda il dito’. E questo, giuro, non l’ho proprio capito.

Ho capito, invece, che se l’imbecille guarda il dito, gli intellettuali sono tutti un po’ stronzi.

di Francesco Di Lorenzo

 

foto di Matt From London

 

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