Legge 219_2

Sono le 13 e 10 minuti. Sto tornando da scuola e sto andando a casa. Frequento la quinta classe elementare, la mia maestra si chiama Giulia, porta spesso i pantaloni, ha gli occhiali e i capelli lunghi e neri.

Non ci vuole molto per raggiungere casa mia, la scuola sta al centro di tutti questi palazzoni. Anche la scuola ha lo stesso colore marroncino di tutti i palazzi. Sono talmente uguali che per non confondermi guardo i balconi del primo piano. Quello in cui abito io ha un mobile di formica verde sopra un frigorifero rotto. Il balcone è stretto e questo frigorifero fuori lo si vede da molto lontano. Io abito al quarto piano. Salgo le scale e sto pensando ai fagioli con il riso. Vorrei che lei me li avesse preparati. Ma non ci spero molto. Per le scale incontro Michelino che gioca sempre con me. Sta con sua madre che appena mi saluta. Le guardo le gambe mentre è alle prese con la serratura della porta. Michelino mi fa un cenno, “ci vediamo dopo” dice. Faccio di sì con la testa e continuo a salire le scale. Sono al quarto piano di fronte alla mia porta. Spingo con il ginocchio ma non si apre. Prendo le chiavi dalla tasca del grembiule. Apro mentre guardo al centro del soggiorno due teste a terra, quella di mia madre sotto e quella grossa di un uomo sopra. Sento la voce di lei, “ Fausto vai giù, ti chiamo io quando devi salire”. Fisso per un momento la scena. Vedo gli occhi dell’uomo grasso e brutto che mi guardano dal basso mentre spinge sopra mia madre, che sta sotto di lui con le gambe aperte. Mia madre gira a fatica da terra gli occhi verso la porta e mi vede ancora lì. “Te ne vuoi andare? Non hai capito?”. L’uomo, invece, mi guarda solamente. Chiudo la porta ma lascio lo zaino lì a terra. Scendo zompettando le scale, come se stessi andando a comprare il pane al supermercato lì vicino. Penso però alla scena. Perché stavano a terra? E perché nel soggiorno? Generalmente lavora nella sua camera, anche se ha l’abitudine di lasciare la porta aperta. Chissà cosa è successo.

Mi fermo fuori dal portoncino, passano solo alcune moto che fanno un sacco di rumore e poche macchine. È che stanno tutti mangiando. Mi siedo a terra. Uno del palazzo che porta sempre gli occhiali scuri e le giacche di pelle, ferma la moto a pochi centimetri dal mio piede. Non mi vede neanche, o fa finta, non mi saluta, non dice niente. Si infila nel portoncino quasi sfiorandomi. Ha la faccia troppo seria. Rimango lì  a pensare. Oggi la maestra mi ha dato pochi compiti, devo rifare la lettura di ieri,  e poi scendo subito a giocare.  Ma sto già giù, e devo ancora salire. E sono solo, gli altri stanno mangiando, Michelino starà masticando con gli occhi fissi sullo schermo della tivù. Che stronzo. Appena sento la voce di mia madre dal balcone “Faustoooo”, mi infilo nel portoncino e faccio le scale a due a due. Dopo un piano rallento, le faccio ad una ad una. Tra il secondo e il terzo piano incontro l’uomo che stava sopra mia madre. Ha addosso un giubbino stretto e ha le mani in tasca, è grasso e ha la barba lunga. Mi guarda solo un secondo e poi cerca di scendere più svelto. Io invece da sopra lo guardo. Ha i capelli grigi e un buco al centro della testa. Mi metto le mani in tasca alla fine del terzo piano e salgo lentamente le ultime scale. Spingo con il ginocchio la porta che questa volta si apre.   Mia madre si gira di scatto a guardarmi, ma non dice niente. Ha le guance cascanti e gli occhi arrossati ma scuri. C’è la televisione accesa e mentre mi siedo mi mette qualcosa nel piatto. Inizio a mangiare e guardo le televisione. Ci sono un uomo e una donna che parlano, li vedo parlare ogni  giorno, ma non ci capisco  molto. Lei si mette a guardarli con attenzione. Quando i due si baciano lei toglie gli occhi dallo schermo. Guardo loro e guardo lei, non capisco. “ A che ora sei uscito da scuola?” mi chiede. “Alla solita ora”, le dico. “Ah…” fa lei. Mi toglie il piatto dove ho mangiato, prende anche il suo e se ne va nel cucinino a lavarli. Io continuo a guardare la televisione seduto alla tavola. Mi sta per venire un po’ di sonno. Invece prendo lo zaino e mi faccio i compiti. Faccio i compiti mentre guardo la televisione. Mia madre con la sigaretta in bocca sta spazzando proprio vicino a me. “Fai bene, fatteli ora i compiti”, mi dice.  Continuo a fare le moltiplicazioni. Non so quanto tempo sia passato, ma qualcuno bussa alla porta. Mi giro. Vedo le spalle di mia madre e penso di vedere Michelino che è venuto a chiamarmi, anche se non lo ha mai fatto. Invece vedo un giovane con i capelli lunghi. Mia madre lo fa entrare. Chiudo il quaderno. “Fausto, vai un po’ giù”, mi dice. Mi alzo dalla sedia e con gli occhi bassi esco dalla stanza piano piano. L’altro ha ancora gli occhiali neri e guarda in alto, alle pareti. Ma alle pareti della stanza non c’è proprio niente. Mentre scendo vorrei bussare alla porta di Michelino. Ma lui non viene mai a chiamarmi e neanche io lo chiamo. Spero di trovarlo già giù. Ci sono tre ragazzi che proprio vicino al cancello, sul marciapiede,   stanno giocando a pallone. “Posso giocare?” dico. “ E gioca”, mi dicono.

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