Il bene che viene dai morti

di Giovanni Mariotti, et al./edizioni, Milano, 2011.

È la storia di due ragazzi timidi e tristi che per qualche tempo hanno viaggiato insieme, tutte le sere, seduti accanto nell’autobus che li riportava a casa dalla città. Li riportava al paese di provincia dove vivevano poveri e insicuri. Lui tornava dalla scuola, lei dal lavoro di operaia. In quei viaggi serali seduti vicini perché lei gli conservava il posto, si scambiavano solo sguardi, forse neanche quelli, e pochissime parole.
Poi tutto questo finisce. Un giorno lui va via, si trasferisce nella grande città. Lei dopo un po’ si perde nei meandri della vita. Ogni tanto, il ragazzo ormai a Milano, pensa alla scortesia che ha fatto alla sua compagna di viaggio, non l’ha neanche salutata, è sparito nel nulla all’improvviso. Da sua madre, quando si sentono, viene a sapere che Bruna, così si chiama la ragazza, è stata molto male. Dopo qualche tempo però si è ripresa, ora la raccontano diversa, sfacciata, di certo non fa più l’operaia, ha comprato la cinquecento, porta la minigonna, si dice in giro che ‘fa la vita’.

Dopo qualche tempo, una sera, lei muore in un incidente d’auto. Stava insieme ad un suo cliente e nel momento del trapasso, un attimo prima, forse un attimo dopo, dalla Versilia vola fino a Milano, nella camera ammobiliata dove vive il compagno di viaggio sparito.
Lui scorge la sua presenza, la sente, la vede, le dà anche un bacio a cui lei risponde. Poi entra in un incubo e nel delirio finalmente capisce che lei lo aveva amato in silenzio, ed è venuta fin lì per salutarlo. È più educata, prima di partire per sempre ha pensato a lui, perché alla persona che si ama, prima di una partenza, si pensa, si va salutarla, si fa un regalo.
Il regalo per lui è la vincita di un sacco di soldi alle corse di cavalli. È lei che lo guida a scommettere, lui che non lo aveva mai fatto e mai più lo farà. È Il bene che viene dai morti, che si sostanzia in un gesto, in un pensiero, in un dono.

I romanzi di Mariotti, questo come gli altri, si collocano ‘oltre la barriera del naturalismo’, per riprendere un concetto del critico Renato Barilli che andava di moda un cinquantina di anni fa e che ora viene solo ripreso per dare un’idea, collocare un senso, segnare un paletto. È un romanzo incompleto, quindi, un percorso di vita – o di due vite – portato avanti per flash, giocando più sul non detto che sul detto, illuminando angoli e spigoli, più che rettilinei o percorsi consistenti. Un romanzo in cui, per riprendere le parole del suo autore, la parti fantastiche alla fine sono quelle più attendibili e fedeli, fedeli ad una biografia fatta di sottrazioni: una vita, quella del protagonista, più o meno anarchica o forse anche Taoista, un Taoismo più che cercato, vissuto, e finanche subìto.
Con i soldi che lei gli ha fatto vincere alle corse di cavalli, lui comprerà il suo primo pullover di cachemire. È di colore nero, e lo indosserà per parecchi inverni, fino all’estrema consumazione della fibra. E il caldo che quel pullover gli regalerà per tanto tempo, si sente, viene direttamente da Bruna, dal suo corpo che ormai non c’è più.

di Francesco Di Lorenzo

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