Zingari

In una vita precedente erano stati marito e moglie. Trecentododici anni prima. In quel tempo erano ricchi. Avevano palazzi, cavalli, servi… Si erano molto amati, nonostante li avessero fati sposare che loro nemmeno si erano mai visti prima. Allora si usava così. I sentimenti non avevano nessuna importanza. Importante era il fiume che scorreva tra le terre del padre di lui e quelle del padre di lei e che aveva già causato centinaia di morti.  Solo un matrimonio tra i due discendenti avrebbe potuto mettere fine a quella faida e far ritornare la pace nella vallata. Nessuno si aspettava che i due fossero felici. Eppure lo furono. Si innamorarono non appena si videro. Un amore grande, forte, possessivo. Soprattutto lei era come pazza. Non viveva che per lui. Per questo lo aveva ucciso, perché non sopportava l’idea che lui non potesse amarla o, peggio ancora, potesse desiderare di baciare, accarezzare o fare con un’altra le cose che faceva con lei. Questo aveva pensato quando gli aveva affondato il pugnale nella schiena. Lui era rimasto per un attimo immobile, come se non fosse successo niente, e poi era caduto a terra senza neanche un lamento. Solo allora lei si era resa conto di quello che aveva fatto. Quando lo aveva visto immobile in mezzo a tutto quel sangue aveva capito  che non lo avrebbe rivisto mai più e che sarebbe stato mille volte meglio dividerlo con un’altra piuttosto che finire da sola il resto dei suoi giorni  e si era pentita. Ma ornai era tardi. Non le restò altro da fare che uccidersi con lo stesso pugnale con cui aveva ucciso lui, come ultimo pegno d’amore.

 

In questa vita invece si erano reincarnati come fratello e sorella. Figli di due zingari. Poveri, come non avevano mai pensato di poter essere. Loro che erano abituati agli agi e ai privilegi della ricchezza adesso non avevano niente, nemmeno i vestiti che indossavano. Passavano la giornata a chiedere l’elemosina, soprattutto lei perché il ragazzo nonostante fosse già grande passava tutto il suo tempo su un carrozzino dove in genere stanno i bambini piccoli, quelli che non sanno ancora camminare, e lei non capiva. Non capiva perché gli amici del fratello corressero per strada e lui no. Dalla mattina alla sera sulla carrozzina a non far niente mentre lei era costretta a fare anche il suo lavoro. Poi una notte che non riusciva a dormire aveva sentito il padre e la madre parlare. Quel giorno erano stati da un grande dottore, uno di quelli buoni, che non aveva neanche voluto i soldi della visita. Parlavano sottovoce  ma lei aveva sentito lo stesso e aveva capito tutto. Allora si era alzata piano piano e s’era messa a guardare il fratello che dormiva.  Aveva pianto tutta la notte. Fino a sentire gli occhi rossi come due carboni accesi e quando la stanchezza che la prendeva piano, nonostante tutto, le fece abbassare la testa, attraverso le lacrime aveva intravisto un filo di luce, lo stesso filo di luce che dalla notte dei tempi annunciava un nuovo  vecchio giorno.

di Ferdinando Gaeta

 

foto di Vectorportal

 

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