Una volta all’anno

treno notte

Una volta all’anno, io e Franco Mugione, avevamo un appuntamento. Andavamo a mangiare ‘o pere e ‘o muss e la lardiata in una vecchia trattoria di Cercola. Era una specie di tradizione, un rito  inventato da noi due. Ci avviavamo già nel pomeriggio così, dopo, avevamo tutto il tempo per fare delle lunghe passeggiate nei paesi vicini.

Un anno andammo a Portici. Era d’estate e la città era quasi deserta. La girammo tutta quanta con calma. Il porto, via Libertà, piazza San Ciro. Alla fine lui mi portò a vedere la casa dove aveva abitato da ragazzo. Una palazzina di tre piani, ben tenuta, in una stradina stretta  e corta. A una decina di metri c’erano delle scale che portavano alla spiaggia. Ci fermammo un po’ lì. Sulla sinistra, guardando verso il basso, si vedeva un locale, a metà tra un bar e una balera, rimasto uguale agli anni settanta. Più giù correvano i binari della ferrovia quasi a ridosso del mare. In lontananza, una mezza luna si specchiava nel golfo del Granatello. Ad un tratto passò un treno a grande velocità.  Squarciò il buio con un lungo fischio e per un attimo illuminò la notte con le sue luci, suggestive e struggenti. Rimanemmo a guardarlo, incantati come due bambini, mentre diventava sempre più piccolo, fino a scomparire.

 

Negli anni che seguirono, chissà perché, ogni tanto mi veniva in mente quel treno e spesso mi domandavo se anche lui ci pensasse.

«Ti ricordi di quella sera che andammo a Portici?» gli chiesi un giorno.

«Sì» disse lui, «mi ricordo … il bar sul mare, il treno …»

«Già, il treno» ripetei, «chissà perché è rimasto così impresso?»

Lui non rispose, come a voler dire che non esisteva nessuna risposta a quella domanda. Si limitò solo a guardare in un punto lontano.

Fu allora che mi vennero in mente le parole di una vecchia canzone di Lucio Dalla:

ah, felicità …

su quale treno della notte passerai?

 

di Ferdinando Gaeta

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