Una onorevole uscita di scena

Sommersi come siamo  dalle notizie sul concorso e dal mezzo putiferio nato dopo le  parole del ministro Profumo sull’insegnamento della religione, rischiamo di non percepire a dovere che intorno a noi un sistema politico sta franando inesorabilmente. La spiegazione più ovvia di questa valanga, tanto per tornare a qualche minimo principio pedagogico, è da ricercare in un paio di decenni di esempi venuti dall’alto, i quali hanno provveduto a far crescere  migliaia di piante storte che ora hanno invaso la piazza.

Peccato,  per noi,  che non ci sia stato nessuno ad opporsi a questo scempio e peccato  per quelli che si sono opposti ma non hanno trovato voce; per coloro,  cioè,   che sono stati  subito messi a tacere.  Peccato,  ancora di più,  per quelli che hanno continuato a lavorare ‘zitti e muti’ non derogando dai loro principi e lo hanno fatto nella più completa solitudine. Questi ultimi,  se li chiamiamo eroi scadiamo nella retorica (e in fondo non lo sono) ma in qualche modo andranno menzionati. Il problema è che anche loro finiranno nel calderone, triturati da una maggioranza di politici (colleghi ?) che con i loro comportamenti  hanno decretato la fine della politica.

Se ci fate caso, il degrado è così dilagante che intervistati in televisione e sui giornali, tutti dicono che bisogna ridare la parola ai cittadini  e che il governo tecnico ha fatto il suo tempo.

Intanto dimenticano di dire che loro stessi, quelli che parlano,  sono stati  votati e hanno già disatteso la fiducia di chi li ha scelti. Certo,  non c’è solo questa tipologia, tra gli eletti  c’erano  e ci sono anche i rappresentanti visibili dei disonesti e dei delinquenti, ma questo allargherebbe  ancora di più il discorso e non è il caso di farlo qui. L’unico rimedio onorevole sarebbe una generale semplice uscita di scena,  in massa. Ma figuratevi la ressa.

 

Tutto questo che c’entra con la scuola? Intanto, sarebbe bello se non c’entrasse, ma non è così. Invece c’entra,  eccome. Fermiamoci un momento a pensare. Negli ultimi vent’anni non si è riusciti a dare uno straccio di identità alla scuola italiana. Gli insegnanti che hanno lavorato cercando di pensare con la loro testa  sono stati lasciati soli, inesorabilmente soli a lottare contro una miriade di fesserie burocratiche e una invasione di pseudo-innovazioni che al solo pensiero vengono i brividi. Mentre ogni ministro che si è succeduto sul trono ha provveduto a smantellare come primo atto  quello che aveva fatto il precedente, sentendosi in diritto di apportare modifiche il più delle volte inutili e dannose. Alcuni ( Gelmini) addirittura le hanno autodefinite, le loro modifiche peggiorative,  ‘epocali’.  Con il risultato finale che si è distrutto quel poco di buono che esisteva nella scuola italiana.  E adesso  si brancola veramente nel buio.

Che fare allora? Difficilissimo dirlo. Probabilmente non ci resta che fidarsi della saggezza di chi continua a ‘lavorare’ nella scuola malgrado tutto, e nell’intelligenza di tutti quei ragazzi che scansando ostacoli, difficoltà e barriere che una classe dirigente mette sistematicamente loro davanti, riescono ancora a porsi obiettivi, a deviare cercando il nuovo, a costruire sulla macerie sempre presenti. E speriamo che queste tipologie crescano sempre di più di numero.

 

Come notizia che rafforza l’insicurezza sul futuro della nostra scuola si può leggere questa.

Nel testo della legge che è in preparazione per sostituire i vecchi organi collegiali,  il Consiglio dell’Autonomia che prenderà il posto dell’attuale Consiglio di Istituto, non prevede la rappresentanza degli studenti.  Un deciso passo avanti verso il decisionismo manageriale. Molti passi indietro, però,  per quanto riguarda il controllo dal basso, la gestione democratica della scuola e la fiducia nei giovani.

di Francesco Di Lorenzo

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