Nell’ambiente lo chiamano il principe. Non è un caso. Francesco De Gregori potrebbe benissimo essere un conte o un marchese, se questi titoli avessero il significato che generalmente gli attribuisce la gente comune . . .
Una mattina di primavera, passò a prendere in macchina suo fratello e poi via, verso il Friuli. Erano diretti a Faedis, in provincia di Udine. Lì, ad una certa ora, più o meno alle 12.00, era previsto che il presidente della Repubblica Napolitano tenesse un discorso. Tutti e due i fratelli, una volta arrivati sul posto, si erano messi ad aspettare all’angolo delle piccola piazza, appoggiati al muro sotto un balcone. Nonostante gli occhiali scuri e la cravatta, nessuna divisa da cantante, un paio di suoi ‘fans’, avendolo riconosciuto si erano avvicinati. Lui aveva fatto cenno con la mano che non aveva nessuna voglia di parlare. Era lì per motivi personali. E una persona può decidere anche di non svelare i suoi pensieri, se quella mattina non gli va. Questo non lo disse, ma si capiva.
Arrivò il presidente, parlò di un episodio molto brutto che era avvenuto a poche centinaia di metri da lì, nel 1945. Un eccidio consumatosi tra opposte fazioni di partigiani. In qualche punto del discorso al presidente, come gli capitava sempre più spesso, la voce si incrinò e gli occhi si riempirono di lacrime.
Appena finito il discorso, e mentre tutti guardavano il palco e battevano ancora le mani, i due fratelli si allontanarono con calma per raggiungere la macchina nel parcheggio.
di Francesco Di Lorenzo
foto di Andrea Sartorati