Tra vecchie notizie e poche novità

Quando i giornali parlano di scuola c’è da stare attenti. Alcune tra le informazioni che danno aumentano la confusione. Ad esempio, adesso,  c’è la necessità di districarsi tra notizie che sembrano nuove ma non lo sono. Anzi, sono vecchissime.

Il problema ha una sua radice, ed è secondo me  il fatto che la nostra scuola sembra  farsi condizionare sempre di più dalle mode. Per un certo periodo tra gli addetti ai lavori ci si concentra su un certo argomento, sembra che non si possa parlare di altro, tutti intervengono dicendo la loro, specialmente i sapientoni. Poi l’interesse si esaurisce  e l’argomento che sembrava imprescindibile finisce nel dimenticatoio. Salvo poi, passato qualche anno, riprendere la stessa tematica e presentarla come una novità.

Sta succedendo così, in questi giorni,  con i concorsi per insegnare nella scuola. Chi ha qualche anno di insegnamento ed è entrato nella scuola con un concorso, lo sa.

Sa che il concorso che risolverebbe tutti i  mali, come ci stanno dicendo,  è qualcosa di  già sentito; sa anche che ogni due anni i concorsi non si è mai riusciti a farli; e sa, infine,  che si erano pensate soluzioni diverse per avviare all’insegnamento i neolaureati e tutti gli altri. Ma,  alcuni, fanno finta di non ricordarsi.

Nel frattempo,  alcuni giornali nazionali ci ricordano  che la nostra scuola è essenzialmente una scuola al femminile. E allora? Se la tendenza è questa non solo da noi  (anche se da noi avviene con percentuali maggiori), non è detto che bisogna per forza allarmarsi. Se addirittura nella scuola primaria praticamente sono scomparsi i docenti maschi (una volta non era così),  prima  si dovrà capire se la femminilizzazione generale della professione sia un fattore positivo o negativo.

E poi,  è sicuro che sia importante il sesso di chi insegna?

Semmai ci sarebbe da porre la questione di come viene percepito l’insegnamento e dello stereotipo di considerarlo una professione scadente. Così succede come il cane che si morde la coda: nella scuola si guadagna poco perché si considera scadente la professione (o il contrario), e perché si dovrebbe guadagnare di più, se si considera quel lavoro, un lavoro scadente?

Domande cruciali o domande solo estive che spariranno con l’autunno? Questo lo sapremo nei prossimi mesi.

Un’ultima notizia forse più rilevante delle altre, che nemmeno è nuova, ma  pone alcune questioni importantissime su cui riflettere.  I dati dell’abbandono scolastico ci dicono che quasi il 19% dei ragazzi lascia  la scuola alla fine del ciclo delle medie inferiori. E sono i maschi, più delle donne, ad abbandonare (rimarranno solo donne nella scuola?), naturalmente ci sono più abbandoni al sud che al nord e,  specialmente,  il fenomeno tocca le grandi città. Con il dato isolato del 30% di abbandoni a Bolzano, che è un caso da studiare.

Insomma, si ritorna a parlare, e menomale, della dispersione scolastica. Se non andiamo errati è da più di un decennio che la questione non era più all’ordine del giorno.  Era fuori moda? Può darsi. Intanto, quando negli anni ancora precedenti c’era stata  più attenzione al fenomeno, la percentuale degli abbandoni diminuì  velocemente.  Segno che se si usano strategie e mezzi adeguati, il fenomeno lo si tiene a bada. Si limitano i danni. Basti solo ricordare l’esperimento fatto a metà degli anni novanta: in alcune realtà difficili, con l’intervento di poche unità di operatori psicopedagogici, l’abbandono scolastico diminuì di molto e in alcuni casi scomparve addirittura. Ma quelli erano altri  tempi.

di Francesco Di Lorenzo

 foto di ovando

 

 

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