Siamo nel settembre del 1968, Franco Basaglia era sotto inchiesta a Gorizia perché uno dei suoi pazienti, che aveva mandato in permesso, litiga con la moglie e la uccide a colpi di scure.
Passano tre o quattro anni, questa volta a Trieste, Giordano Savarin dimesso per sperimentare nuove forme di assistenza dall’ospedale psichiatrico diretto da Franco Basaglia, appena arrivato a casa uccide il padre e la madre. Per questo secondo caso, in difesa di Basaglia, interviene il filosofo Sartre da Parigi.
Mentre avviene tutto questo, Gaetano, infermiere psichiatrico, viene accusato di omicidio colposo perché un suo ‘pazzo’ (un malato mentale del suo reparto) si uccide buttandosi dal quarto piano dell’ospedale psichiatrico di Napoli. Il morto è un signore egiziano che da quarant’anni è internato nel nosocomio napoletano. Non ha nessuno, non c’è familiare che lo venga a cercare. Ma è affabile con tutti, molti lo considerano un amico, sempre pronto ad aiutare gli altri, e con gli infermieri del gruppo di Gaetano ha uno speciale rapporto, gli danno fiducia e lui non la tradisce, mai. Poi una sera di gennaio, dopo che per mesi con una lima rubata ad un falegname, ha segato pazientemente le sbarre di ferro della finestra della sua stanza, proprio la sera in cui è di turno Gaetano, stacca facilmente la grata, la poggia a terra accanto al suo letto, si erge sul davanzale e spicca il volo. Quattro piani più giù, quando la testa impatta il pavimento, il suo cervello schizza a qualche metro di distanza. Dei quattro che dovevano in pratica sorvegliare il reparto, e che in teoria avrebbero dovuto accorgersi del lavoro fatto alla grata, tre in quel preciso momento erano in bagno, Gaetano si trova nel corridoio a prendere qualcosa dal suo armadietto. E per questo ancora più colpevole: avrebbe dovuto fermarlo.
di Francesco Di Lorenzo