Qualità del Benessere – Benessere della Qualità nella Scuola

DSCN0273I.

Parlare o riparlare di qualità nel contesto scolastico sta diventando un discorso non più procrastinabile. Si avverte il bisogno di passare dall’enunciazione di un’idea e di una moda temporanea, alla definizione di un’ideologia confermata. La qualità scolastica come concetto fa parte ormai dell’essenza che sta alla base dell’agire di ogni singola scuola. Come tale, ora, andrebbe verifica con dati empirici e non più con semplici ipotesi.

Nel discorso, però, dovrebbe trovare spazio anche una considerazione su un aspetto particolare della qualità: un aspetto legato al lato psichico o psicologico di ognuno di noi, sia operatori di scuola che semplici fruitori del servizio. Si tratta del benessere che si vive all’interno dell’istituzione. Forse, è venuto il momento che anche nella scuola si cominci a parlare di benessere. Con qualche precisazione, naturalmente. Il benessere di cui parliamo è quella condizione che ci fa stare bene con noi stessi e con gli altri e che ci dà la possibilità di aumentare la nostra efficienza.

La scuola non vive momenti facili, questo è un tormentone un po’ abusato, ma è anche una semplice verità. Ci sono sempre nuove richieste che vengono dagli alunni e della società in generale e le risposte non sempre adeguate alimentano un clima poco positivo, con il malessere che coinvolge e travolge insegnanti ed alunni. Le note vicende sul ‘bullismo’ e sulla violenza nelle classi ne sono un ultimo esempio.

 

II.

Intanto, in alcune correnti della psicologia contemporanea si sta sempre di più affermando l’idea che molto del malessere che accumuliamo deriva dalla incapacità di gestire in modo positivo le nostre relazioni. Inoltre, c’è la consapevolezza che il benessere non è una condizione data dalla nascita, ma che si può imparare a stare bene e, di conseguenza, si può insegnare a farlo. Tale consapevolezza rimanda così all’idea che qualità della vita si ricostruisca imparando il ‘benessere’.

Chi ha dedicato all’argomento studi e riflessioni è stato il professore Enzo Spaltro dell’Università di Bologna. I capisaldi della sua idea di benessere potrebbero avere nella scuola un effetto salutare, ed attivare un circolo virtuoso di cui si ha sempre più bisogno. In effetti, si potrebbe ipotizzare l’idea di una vera e propria formazione del benessere, i cui punti in forma sintetica e da approfondire potrebbero essere i seguenti.

 

1° Punto

Partiamo dalla constatazione che viviamo in una società condizionata dal malessere. Nella scuola, termini come ‘burn out’ sono entrati a far parte del vocabolario di ogni insegnante. Ma l’argomento viene da lontano: nella scuola (in generale) si è sempre premiata la sofferenza: ‘imparare è soffrire’, la tradizione ‘volenti o nolenti’ è questa. Da qui, una ‘ipotetica pedagogia del malessere’ sentenzia ‘se non fai questo – ti punisco!’. Invece, ci sarebbe da contrapporre una altrettanto ‘ipotetica pedagogia del benessere’ che dica (come assunto principale) “ Se fai questo – ti premio!” Se ci pensiamo bene, nella scuola, la promessa è rara; la minaccia – è frequentissima.

Il passaggio verso la rivalutazione del soggetto è fondamentale per costruire il benessere, perché il benessere è esso stesso soggettivo. Quando si parla di soggetto è ovvio che si intende sia chi insegna sia chi apprende. È certo che tutti vorrebbero stare bene: c’è nel soggetto la tensione naturale verso il benessere. Ma spesso non basta il volerlo. C’è bisogno anche di sapere come fare. Dunque, chi meglio della scuola potrebbe proporsi a farlo?

Un altro assunto fondamentale che scaturisce da quanto finora detto è che il soggetto non è pensabile senza pluralità e partecipazione. Come diceva Don Lorenzo Milani:

“Nessuna conoscenza è vera se non è condivisa.”

 

2° Punto

Una volta consapevoli che il benessere non ci è dato dalla nascita, è importante capire come si fa a raggiungerlo. C’è necessità di studiare, avere voglia di apprendere con metodi antitradizionali, uscendo dal solco del già tracciato, entrando nei territori dell’inesplorato. Una delle condizioni dello ‘star bene’ essenzialmente si attiva imparando a relazionare. Nella società della comunicazione, spesso ci sono difficoltà nel porsi in relazione con gli altri. Imparare a farlo, condizionati come siamo dai surrogati della relazione, telefoni e computer, è indispensabile. Dobbiamo porci l’obbiettivo di riuscire ad entrare in contatto con chi circonda e costruire rapporti significativi, non standardizzati. Naturalmente, si parla di relazione vera, quella personale e dal vivo, non mediata.

 

3° Punto

Una volta capito che si deve imparare qualcosa, la scuola, che è il luogo dove si apprende, diventa il fulcro di tale discorso, attivando fino in fondo la sua ragion d’essere. La scuola dovrebbe insegnare a ‘stare bene’. Questa idea, semplice e complessa allo stesso tempo, ci porta alla riflessione che se si insegna benessere, dopo diventa più facile anche insegnare e imparare tutte le materie, facendo sì che la scuola in modo serio e consapevole attui i suoi principi di efficacia e di efficienza. L’idea di una scuola che in un futuro immediato possa essere basata su queste coordinate potrebbe essere coinvolgente e interessante.

 

4° Punto

Nella scuola, oggi, il modello classico dell’allievo che impara e dell’insegnante che insegna è crollato. Le tecnologie hanno dato a tutto ciò una spallata non di poco conto. Alla consueta simmetria che si impara ciò che si insegna, con l’introduzione di altri modi di fare, in primis della multimedialità che propone più livelli contemporaneamente, le cose non appaiono più così lineari come una volta. Ecco che allora potrebbe imporsi oggi il modello del ‘fraintendimento collettivo’: chi impara – ha sempre qualcosa in più rispetto a chi insegna. Ad una cosa non ne corrisponde un’altra. Il modello ‘creativo’ è asimmetrico: non sempre quello che si insegna si impara. Anzi, molto spesso si imparano cose che non si insegnano affatto, o, almeno, non nel modo in cui siamo abituati a conoscere. Dice Spaltro:

“Io insegno, tu puoi elaborare il mio insegnamento in tanti modi diversi, a seconda della tua creatività. Contemporaneamente, io, mentre insegno, imparo. Non esiste nei fatti una assurda e anacronistica divisione dei compiti.”

Si impongono intanto alcune forme di formazione. Il ‘Training-group’ (imparare ad imparare) è il modello di base e dell’attenzione ai processi, invece, che ai semplici contenuti. È, forse, la tecnica più espressiva delle dinamiche di gruppo. È stata ideata da Kurt Lewin, considerato il padre della teoria dei gruppi. In realtà, è stimata come una delle tecniche che più dà la possibilità di un vero cambiamento personale. Durante un ‘T-group’, sotto la guida di un conduttore esperto e di un osservatore, si sperimentano le propri capacità di saper stare in un gruppo e si vivono quì ed ora  tutte le dinamiche che si incontrano nella vita reale. Si sperimenta la propria capacità di stare con gli altri e, in una situazione controllata, si ha la possibilità di capire limiti e possibilità.

 

5° Punto

Come suo connotato di base, l’ipotesi di una formazione dedicata esclusivamente al benessere, dovrebbe nello stesso tempo segnare il passaggio da una cultura di coppia ad una cultura del piccolo gruppo. La cultura di coppia è limitante, non riesce a cogliere la forza e la complessità dei molteplici punti di vista. La cultura del gruppo mette al centro il rilancio della pluralità come riscoperta del soggetto. La soggettività si esprime nel gruppo o, altrimenti, non è valida. Così come si è già detto per la conoscenza. Insieme al corollario di una serie di concetti che potrebbero sembrare fuorvianti, ma che a rifletterci potrebbero contenere efficaci energie positive: si tratta di riscoprire l’importanza dei ruoli intermedi, del ‘doppio gioco’, dell’essere al servizio di due idee contemporaneamente, di non essere solo drasticamente di un bianco o di un nero.

Ma, la condizione fondamentale di una nuova visione delle cose, resta il senso dell’appartenenza. La condizione per qui il gruppo si realizza e la scuola può aspirare a diventare di qualità, è il nostro sentimento di appartenenza a quel gruppo, a quella istituzione. E per far sì che si ‘appartenga’ – dobbiamo rinunciare all’idea di essere il tutto e di voler dominare il gruppo: la nostra singola rinuncia è la garanzia che di quel gruppo faremo parte.

 

6° Punto

Il sesto punto è dedicato alla proposta di introdurre in modo sistematico e non sporadico nella scuola la cultura della negoziazione e della pluralità. Se si comincia a considerare il conflitto come una risorsa, si pongono le basi per il pluralismo e, quindi, per il benessere. Anche se accettare una simile condizione non è certo più comodo. Inoltre, il gruppo come idea, come cultura, avendo più sensori e più ‘occhi’, pone seri problemi al mito dell’obiettività. Su mille cose considerate come obiettive, al massimo ce ne saranno dieci veramente tali. Il resto è tutto costruito dalla soggettività. A pensarci bene, l’obiettività è solo la soggettività imposta come obiettività da chi ha la forza o il potere di imporla.

L’esempio più evidente nel mondo del lavoro ci è dato dal Taylorismo, che significa unicità di comando, suddivisione del lavoro, parcellizzazione. Oggi, nessuno ne parla più. Eppure, pochi anni fa non si credeva possibile uscire da questo modello.

L’esempio ci fa capire come alcuni modelli che sembravano oggettivi, in fondo, non lo erano per niente. Prendiamo l’unicità di comando: la ricerca e la pratica hanno dimostrato che non sempre è necessaria. Possono esserci due, tre capi in un gruppo: dipende dal tipo di gruppo e dalle sue funzioni.

 

7° Punto

Bisognerebbe, intanto, anche rilanciare l’idea della costruzione soggettiva della realtà. Tutto quello che vediamo è costruzione dell’uomo-soggetto, ed ogni uno di noi si costruisce la propria realtà. Quelle che sembrano le nozioni più obiettive (la natura, il clima) in fondo dipendono dalla nostra fantasia, dalla nostra percezione, dalla nostra capacità di costruire.

Siamo abituati a pensare che la nostra soggettività non conta niente (o poco) e che tutto dipende dalla struttura e dall’economia. Invece, ormai si è capito che sì l’economia ha la sua importanza, ma è anche vero che i grandi economisti continuano a fare previsioni che poi, inevitabilmente, si rivelano sbagliate. Questo vorrà pur dire qualcosa.

Noi siamo in grado di costruire la realtà. Le variabili oggettive dipendono dalla variabile indipendente che è la soggettività.

La fine del mito dell’economia la dice lunga sull’argomento. Come si è detto, gli economisti vengono sistematicamente smentiti nelle loro previsioni.

La scuola dovrebbe dotarsi (quando non lo fa o non lo fa in modo generalizzato) degli strumenti e delle persone adatte all’apprendimento e all’insegnamento delle variabili soggettive. L’individualizzazione e poi, la personalizzazione dell’insegnamento che ci sono – sono dei passi,  ma, forse, se non sono inserite in un contesto di gruppo e di appartenenza, perdono la loro energia.

 

8° Punto

Occorre, in fine, che la scuola pensi anche alla costruzione di una nuova cultura. Perché non cominciare a considerare che la base dell’apprendimento è sabbatica? Il sabato ci attira di più: c’è il fascino dell’imminenza, delle cose non finite piuttosto di quelle concluse. Noi tutti ci accorgiamo che impariamo di più e siamo attratti dalle cose imminenti, quelle che devono ancora avvenire, che sono in costruzione, piuttosto che da quelle finite e definite. Contrapporre il sabato alla domenica intesa come festa già avvenuta e riconosciuta, alla domenica – come conoscenza già definita e conclusa. Borges diceva che “L’imminenza di una rivelazione che sta per compiersi e non si compie, questa è forse la natura del fatto estetico.” E da quì, sarebbe poi ora di introdurre nella scuola una sorta di dimensione estetica in forma massiccia e continuativa. C’è bisogno di una considerevole dose di bellezza per far dimenticare le bruttezze che ci sono state somministrate per anni. Il benessere è sempre basato sul bello, sulla forma e sullo stile del bello; sulle cose che devono avvenire; sul trend; sulle possibilità e sul futuro. Concorrere alla costruzione di una nuova cultura con alcune di queste idee o, anche con altre, può essere la base di impresa o di intrapresa che, certamente, darebbe slancio e vitalità all’istituzione.

 

Conclusioni

Uno dei principi che dovrebbe essere chiaro nella sua semplicità è che nella scuola si deve evitare di colpevolizzare il benessere. Come nella vita di tutti giorni, anche nella scuola si continua con quella strana forma di comportamento per cui si ha paura di ‘stare bene’. Fateci caso, è sempre difficile dire che stiamo bene: come se il nostro benessere dovesse essere causa del malessere degli altri. Esiste un altro strano comportamento (nella scuola come nella vita) ed è quello per cui si chiede molto alla politica, ma si dà poco ad essa. Si chiede di risolvere i problemi, ma quasi mai si indicano le possibili soluzioni. In fondo, sono pochi quelli che vedono i problemi e dicono anche cosa si dovrebbe fare. Criticare solo non serve a molto. Proporre soluzioni, invece, è un notevole passo avanti: significa che si è pensato, che si è ricercato, ci si è attivati.

 

In conclusione, l’ipotesi entusiasmante potrebbe essere questa: che la scuola diventi il centro dell’offerta del benessere, mutando la sua essenza e re-inventando slogan come “Insegnare e imparare è piacevole!” e smontando i luoghi comuni sulle materie facili e difficili (considerando che a chi piace l’algebra non è difficile studiarla).

Tutti sanno che imparare è bello, eppure non si riesce scardinare il luogo comune che è anche difficile; mentre è vero che imparare è piacevole. Convincersi (ma seriamente) che in nessun lavoro e, tanto meno nella scuola, la produttività la si raggiunge con il malessere.

Il fondamento del benessere nella scuola nasce dal piacere di pensare. Se si riesce a togliere l’incrostazione intellettualistica a questa semplice verità, forse potranno liberarsi energie e positività inaspettate per la qualità.

Si potrebbe così costruire una vita di qualità.

Per raggiungere tutto questo ci vogliono tempi lunghi. La tendenza alla formazione del benessere, quindi, consiste nella speranza di imparare. Ma, i tempi lunghi non devono spaventare. Importante è iniziare un cammino. Nessuno è insostituibile e, certamente, qualcuno continuerà il percorso che si è iniziato.

 di Francesco Di Lorenzo

*

Questo articolo vuole essere un omaggio al prof. Enzo Spaltro, psicologo del lavoro, poeta, e fondamentalmente uomo libero, che ha vissuto e vive al di fuori delle convenzioni e degli apparati. Egli si è speso nell’insegnamento e nella formazione per affermare alcune idee, e quelle che si trovano in questo scritto sono a lui profondamente debitrici.

 

Bibliografia:

Enzo Spaltro, Qualità, Patron Editore (Bologna, 1995)

Enzo Spaltro, La forza di fare le cose, Pendragon Editore (Bologna, 2003)

Enzo Spaltro, La buona scuola, La penna d’oca (Napoli, 1997)

Aladino Tognon, Gli orizzonti del benessere: progettare qualità a scuola, La pena d’oca (Napoli, 1996)

Don Lorenzo Milani, Lettera ad una professoressa, Libreria scientifica fiorentina (Firenze, 1967)

Postic, La relazione educativa, Armando Editore (Roma)

J.Luft, Introduzione alle dinamiche di gruppo, La nuova Italia (1984)

F.Frabboni – F.Montanari, Lara: nuove abilità relazionali nell’avventura scolastica, Franco Angeli (Milano, 2002)

E.Jaques, L’organizzazione indispensabile, Guerini e Associati (Milano, 1991)

L.Amovilli, Imparate ad imparare, Patron Editore (Bologna, 1994)

J.L.Borges, Altre inquisizioni, Mondadori (Milano, 1974)

Be Sociable, Share!
Questa voce è stata pubblicata in Scuola e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *