Peppe, Wallace

Peppe è da alcune ore che si fa sempre la stessa domanda e non sa darsi una risposta. “È mai possibile”, si chiede, “che una persona che ha tutto… soldi, fama e donne… non riesce a vivere bene e stare contento? Io”, pensa, “se avessi solo una delle tre cose – sarei a posto.”

Questa domanda gli rimbomba nella testa e lo ossessiona da quando incominciato a leggere sul giornale che è uscito il nuovo libro (postumo) di un autore americano molto famoso, un certo Foster Wallace. Ma Peppe, più che altro, si è fermato al lato della pagina, dove c’è sintetizzata (in un riquadro) la vita dello scrittore. Ha scoperto, quindi, che Wallace si è suicidato all’età di 46 anni, mentre era considerato uno dei migliori scrittori, se non il più  bravo in circolazione. “La mente migliore della sua generazione”, così sta scritto. Venerato e osannato da tutti: critici, scrittori e pubblico. Lo scrittore in questione è l’autore (tra l’altro) di un romanzo lungo più di mille pagine, che gli Stati Uniti d’America, quando viene pubblicato alcuni anni fa, accolsero in modo a dir poco entusiasta. E per l’occasione, gli diedero un premio… che si dà solo ai geni.

Solamente che Foster Wallace ha un problema: è depresso. E questa depressione lo ha sempre accompagnato fino a fargli fare, in gioventù, alcuni tentativi di suicidio. Poi, i medici trovano un medicinale, il Nardil, che lo aiuta molto, tanto che quasi si dimentica del suo male.

Nel frattempo cresce e si consolida il suo successo letterario. Riceve  l’invito ad insegnare scrittura creativa in una grande Università americana. E questo gli piace molto – insegnare e scrivere, le sue grandi passioni, che (pensa Peppe) avrebbero riempito la vita di chiunque. Ma a lui, a Foster Wallace, non bastano. Nel frattempo si è anche sposato con una scrittrice e vive insieme a lei felice e contento.

Questo in apparenza, però. Perché sotto c’è la magagna, c’è il fatto che il  Nardil, l’antidepressivo, lo prende… cioè, deve prenderlo,  tutti i santi giorni. È la sua compagnia quotidiana, la sua costante di vita. E anche la sua croce.

Passa il tempo e una sera, al ristorante, con la moglie e i genitori, dopo aver cenato, a Wallace gli vengono fortissimi dolori  intestinali. Certo, sono causati dal cibo. Ma lui sospetta che siano anche il frutto dei molti effetti collaterali del farmaco che prende da diciotto anni senza interruzione. Va in crisi, non sa che fare. Poi decide, anche con il consiglio dei medici, di sospendere questo cazzo di farmaco. Ormai i sintomi della depressione sono solo un ricordo lontano.

Peppe mentre legge questa piccola biografia è tanto attirato, tanto preso, che gli viene da pensare: “Io non voglio leggere nient’altro di questo autore, che quasi quasi mi fa paura. Mi sembra di essere diventato il solito coglione che guarda nella vita delle persone e trova avvincente le tragedie degli altri… e, poi, cos’altro avrà potuto scrivere di più interessante della sua stessa vita?”

(Comunque, Peppe compra così pochi libri, che ci sono solo poche e remote possibilità di acquistarne uno di Wallace. A meno che, non glielo presta un amico.)

Continuando a leggere, Peppe scopre che Wallace si convince a sospendere il Nardil, anche perché gli sta nascendo il sospetto che questo farmaco così pesante potrebbe in futuro danneggiare la sua scrittura.

“Boh!”

Peppe non riesce andare avanti, ha bisogno di fermarsi ancora, e di raccogliere le idee (poche), per cercare di capire, di districarsi. Fa due calcoli a modo suo e pensa: “Ma se questo farmaco per 18 anni ti fa stare bene, non ti fa venir voglia più di suicidarti, se con questo farmaco scrivi delle pagine che vengono accolte con entusiasmo da tutti e che ti danno il successo – ma chi te lo fa fare di cambiarlo… per un po’ di mal di pancia?”

Naturalmente, Peppe è Peppe e non è Wallace. Al punto che,  confondendo un poco i piani, non ci mette poi tanto a pensare che magari era il Nardil che gli faceva fare “tutte stè belle cose, e quindi…”

Ad ogni modo, più la lettura di Peppe va avanti, e più la situazione si evolve con grandi colpi di scena. Proprio come nei romanzi. Sta leggendo la storia di una vita che nessun romanziere avrebbe potuto inventare, se non lo stesso protagonista… che è uno scrittore di genio… ma qui il ragionamento si complica. E Peppe lascia perdere… Perché il ‘romanzo’ pian piano si trasforma in dramma: lo scrittore senza Nardil sta male. I farmaci che gli vengono prescritti in sostituzione – non hanno nessun effetto. Anche se sono dell’ultima generazione (e quindi potenzialmente più efficaci) a lui fanno un baffo. Si sente sempre più depresso. Cerca di stare bene, ma non ce la fa. Non mangia. Soffre d’ansia: ha paura di uscire da casa. Ritornano i pensieri suicidi. Viene sottoposto anche ad una terapia con gli elettroshock. Ma niente da fare.

Allora i medici pensano che forse è il caso di tornare a somministragli in Nardil, il farmaco che ha tenuto a bada la sua depressione per quasi vent’anni. Ebbene, lo fanno. Ma, questa volta, il Nardil si nega, non fa più effetto.

Peppe è interdetto. “Che sfiga”, pensa.

Poi legge che i medici si spiegano questo fenomeno e dicono che spesso succede, succede che un farmaco che va bene, se una volta viene interrotto, finish, caput… quando lo riprendi è come se si fosse offeso, non ti calcola più, non fa più effetto.

“’Succede’… un cazzo”, pensa, “potevate dirglielo prima che ‘succede’.” Peppe a questo punto, facendo una sua personale panoramica mentale, conclude che “i medici, in fondo, se ne fottono del paziente in sé, fanno un lavoro, non sono tenuti ad essere anche previdenti; fanno i froci con il culo degli altri, come ha sentito dire da qualche parte, e questa espressione oltre a piacergli – è anche molto precisa per quello che sta pensando.”

Poi arriva il gran finale della storia. Il finale di merda. Un pomeriggio la moglie di Foster Wallace esce per un paio d’ore: deve fare una commissione. Quando rientra – trova suo marito impiccato con una fune nel garage di casa. Sul tavolo c’è una lettera in cui si scusa con tutti. Spiega che non ce la fa più.

Il riquadro del giornale finisce così.

A lettura terminata, Peppe rimane così male per tutta sta’ storia e per come è andata a finire, che non riesce a stare fermo. Deve farsi un giro a piedi, deve respirare, deve cercare di non pensare. Ha una rabbia dentro che potrebbe spaccare il mondo… come se gli fosse morto un fratello.

(In fondo, per quello che sente, è proprio così.)

di Francesco Di Lorenzo

foto di higlu

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