Parità scolastica : una storia lunga tre anni.

parte prima

berlinguer1997. Sono appena finite le vacanze di Natale, si rientra a scuola, si riprende il lavoro e il ministro dell’istruzione Berlinguer è più attivo che mai. Per il governo Prodi la scuola viene prima di tutto. Il progetto di Berlinguer per riformare la vecchia scuola italiana è pronto. Alla presentazione ci sarà lo stesso presidente del consiglio Prodi e il suo vice, Walter Veltroni. Avverrà in una conferenza stampa prevista per le 16.30 del 14 gennaio. La sera prima, il TG1 delle venti già fa delle anticipazioni. Rivela che non ci saranno né scuole elementari né medie, né tantomeno il liceo classico. L’obbligo scolastico passerà da otto a dieci anni. In pratica diventerà obbligatorio iscrivere i bambini all’ultimo anno delle materne, a cinque anni. La scuola sarà divisa in due cicli, quello inferiore di sei anni, eliminando quindi la scuola media, e quello superiore diviso in due trienni. Il primo obbligatorio e il secondo corrispondente alla vera e propria scuola superiore. In questo modo si uscirà dalla scuola a 18 anni, si guadagnerà un anno, ma l’obbligo finirebbe a quindici e non a quattordici come adesso. Ovviamente, questo varrebbe sia per la scuola pubblica che privata.

Insomma, per chi è abituato a vedere la scuola italiana fissa nella sua staticità – è un vero sconquasso.

Se andasse in porto una riforma del genere, Berlinguer legherebbe il suo nome ad una rivoluzione storica nella scuola italiana. E oscurerebbe quella di Gentile fatta nel 1923 che si basava sulla centralità dei tre anni di scuola media e sul quinquennio ginnasio-liceo.

È proprio Prodi a dire che non è possibile entrare nel nuovo millennio con una struttura del sapere troppo antiquata. Ed anche Walter Veltroni ribadisce che nella nuova scuola ci sarà posto per musica, teatro, cinema e beni culturali e per chissà quante altre cose.

Il ministro però, inspiegabilmente, frena.

Dice che questa sua proposta dovrà essere discussa, modificata e aggiustata negli errori che sicuramente contiene. Quindi, dibattito per i prossimi due mesi, e poi subito approvazione in parlamento.

Alla fine della presentazione nella quale vengono confermate tutte le anticipazioni del TG, il ministro riceve molti applausi e qualche fischio.  Uno di questi fischi proviene dall’autorevole bocca di Sua Eccellenza il cardinale Ruini. “In questo modo le superiori, che passeranno da cinque a tre anni, perderanno il loro valore rischiando di banalizzare ancora di più il sapere. –dice il sant’uomo al Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana- E, cosa non secondaria, nel contesto di una riforma scolastica globale è poi del tutto necessario dare finalmente attuazione concreta alla parità per le scuole non statali…”.

Ecco il problema: la scuola privata. Tema caro agli uomini evoluti.

Stavolta però corrisponde anche agli impegni presi in campagna elettorale dalla maggioranza: parità tra scuole statali e non. La Chiesa, e non solo, vuole fermamente la scuola privata. Sarà il papa stesso a presentare il conto. È il 23 febbraio 97. Papa Wojtyla, parlando ai giovani della scuola cattolica Villa Flamini a Roma, chiede esplicitamente al ministro che nella sua annunciata riforma ci sia finalmente posto per una effettiva parità tra scuole pubbliche e scuole cattoliche.

[Accanto al papa che pronunciava queste parole,  il cardinale Ruini annuisce soddisfatto.]

Insomma, su questo tema il ministro è ‘marcato stretto’. Non solo. A dar man forte gli alti esponenti del mondo episcopale italiano, c’era già stato, tempo prima, l’onorevole Buttiglione (da non confondere col più famoso, colonnello Buttiglione) che aveva sentenziato, senza mezzi termini, che

per il ministro Berlinguer le scuole cattoliche sono un cancro da estirpare’ (frase che sarà poi stampata a caratteri cubitali sui libretti degli studenti di medicina delle Università cattoliche).

 

Contemporaneamente parte l’attacco della Compagnia delle Opere, braccio secolare di Comunione e Liberazione.

Al Palavobis, è domenica 14 aprile, si dovrebbe parlare di scuola ma nei fatti, si tratta di una chiamata alle armi. Si spara a zero su ministro e governo. La platea è agguerrita. Scalda il pubblico il solito Rocco Buttiglione (il politico, non il colonnello) che, senza fronzoli, dice che il ministro ha la precisa volontà di egemonizzare la scuola con Gramsci e la cultura comunista. Dopo aver detto, ancora una volta, che Berlinguer considera la scuola cattolica un cancro da estirpare.

 

Il centro-sinistra, ingenuamente, fa parlare l’onorevole Dini. Apparentemente ha parole di zucchero per il Polo ma critica in modo aspro Berlinguer che, dice, non si muove bene sulla parità. Dice, inoltre, che personalmente ha una proposta su questo tema molto più avanzata. Berlusconi,  gongola. Già su questo punto Dini è con noi, pensa tutto contento. Gli applausi sono scroscianti.

Dini, chiamato a rapporto subito dopo da Berlinguer, fa lo gnorri. Dice che non si sono capiti e che non c’è nessun problema con la linea del governo. Intanto Berlinguer da Bruno Vespa, a Porta a Porta, ad una specifica domanda afferma chiaramente che la parità sta nel programma di governo e si farà. Non sa ancora come, ma si farà. Ma non finisce qui. Passa qualche giorno e in un’altra uscita, l’arcivescovo Ennio Antonelli, segretario della CEI, sollecitando il ministro sempre sullo stesso tema, dirà:

Nell’azione del governo Prodi ci sono delle luci, c’è qualche ombra e soprattutto ci sono delle cose che attendono di essere realizzate”.

Quali sono le cose che attendono di essere realizzate? Semplice, i soldi. Tanti soldi. Soldi che le fameliche scuole private attendono, come jene, da decenni.

 

Ore 13,35 del 19 luglio 1997. Dopo tre ore di consiglio dei ministri, Prodi e Berlinguer scendono in sala stampa e danno l’annuncio. Il governo ha approvato il disegno di legge sulla parità scolastica. È il primo passo verso una legge che nessun governo democristiano aveva osato finora neanche mettere all’ordine del giorno. Lo ha fatto invece l’Ulivo con il primo ministro ex comunista della Pubblica istruzione. Prodi ci tiene a precisare che era nel programma ed è stato fatto. Ma bisogna ricordare, sottolinea, che questa riforma non potrà andare a scapito della scuola statale, poiché tale scuola resta il pilastro dell’Istruzione.

 

Il presidente Prodi deve fare attenzione alle parole che usa. Deve tenere a bada chi nella maggioranza esprime dubbi, come si vedrà subito dopo. Gli articoli sono appena quattro. La novità è che potranno ottenere la parità tutte le scuole non statali, cioè religiose o laiche private, che però dovranno rispettare alcuni standard stabiliti. Gli standard sono quelli della qualità della didattica, gli spazi, le sedi e le strutture adeguate. Inoltre, gli ordinamenti didattici dovranno essere conformi a quelli delle scuole statali. E si dovranno accettare le ispezioni del ministero. Le scuole che ottengono la parità potranno rilasciare titoli accademici legali allo stesso modo di quelle statali. I docenti dovranno avere gli stessi requisiti di preparazioni di tutti gli altri ed essere inquadrati secondo il contratto nazionale di categoria. Le scuole cattoliche potranno, su questo punto, avvalersi di personale volontario nella misura di un quarto del totale. La nota dolente sono però i finanziamenti. La bozza che finora si conosceva, recitava che le scuole non statali potevano avere contributi dallo Stato fina ad un tetto del 35%. Nel disegno di legge attuale tutto ciò è sparito. La cifra verrà stabilita ogni anno dalla finanziaria: in pratica si potrà avere tutto o niente, a seconda delle disponibilità economiche. Ci saranno inoltre altri finanziamenti attraverso le regioni: borse di studio e buono-scuola che verrebbero dati direttamente alle scuole anche se assegnati nominalmente agli alunni.

Il tutto è piuttosto confuso, non c’è che dire.

Ma ora la parola passa al parlamento. Come da copione le critiche arrivano sia dall’interno della maggioranza che dall’esterno. La sinistra Pds è contraria al finanziamento. Bertinotti è deciso a dare battaglia per la scuola pubblica. Allo stesso modo sono contrari i ‘verdi’. Invece, l’ex ministro Lombardi, deputato del Ppi, si dice sconcertato. Non solo pensa ma addirittura afferma: “Una parità senza soldi è una presa in giro!” Del resto, quando si preparava a fare il ministro della Pubblica Istruzione, aveva già previsto per le scuole private una cifra di almeno tremila miliardi. Il cardinale Pio Laghi, responsabile vaticano per l’educazione cattolica, è invece l’unico contento. L’unico che ha capito che quello è solo il primo passo, che non era mai stato fatto in cinquant’anni. Nemmeno quando al governo c’erano i più ferventi cattolici che avevano studiato nelle scuole dei preti.

Bisogna vigilare e spingere, dice, ma il ghiaccio è rotto.

Tutti sembrano dimenticare che se la scuola privata viene finanziata dallo Stato, i figli degli operai e degli impiegati (che pagano le tasse) pagano la scuola anche ai figli dei ricchi.

 di Francesco Di Lorenzo

 (continua…)

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