Il carceriere di Napoleone

napoleoneMio figlio non vuole mai fare i compiti. Ogni volta è una lotta. Sono costretto a mettermi vicino a lui come un soldatino, altrimenti non mi combina niente e quest’anno è già la seconda volta che fa la prima media. Benedetti ragazzi! Per fortuna, in matematica e geografia se la cava bene ma per l’italiano e la storia è un vero disastro. E fu proprio facendogli ripetere la storia che notai, a pagina 22 del suo sussidiario, il ritratto di Hudson Lowe, il carceriere di Napoleone a Sant’Elena.Identico e preciso ad Augusto Righi, il mio caporeparto in fabbrica. Stessa faccia di merda, stesso senso di schifo e m’immaginavo – perchè nel ritratto  non si vedevano – che avesse anche lui le mani sudaticce. Cavolo. Adesso capivo da dove veniva tutta quella ferocia. Maledetto Righi. Ci rendeva la vita un inferno. Capace di nascondersi dietro i pilastri dei capannoni per vedere quante volte andavamo in bagno o a fumare una sigaretta.

Andai a leggere qualcosa di più sulla vita dell’inglese. Scoprii che era disprezzato per il suo comportamento verso Napoleone, perfino dai suoi stessi connazionali e addirittura dal duca di Wellintong in persona. Io leggevo e mi crogiolavo in un dolce  brodo di giuggiole. Era la conferma alle mie teorie su quello stronzo del caporeparto. Decisi di vendicarmi. Il giorno dopo, in fabbrica, appena lo vidi, misi la mano destra sul petto appoggiandola a una bretella della tuta come era uso fare Napoleone. Lui se ne accorse e mi venne vicino.

– Che fai?- chiese.

– Lavoro,- risposi.

– Non fare il furbo. Che fai con quella mano così? Chi credi di essere?

– Sono quello che sono,-  e risi spavaldo.

Nei suoi occhi si accese la stessa luce nefasta di Lowe, una malefica luce di gelosia e odio verso Napoleone, un uomo tanto grande quanto lui era insignificante.

-Togli quella mano da lì, altrimenti ti faccio un rapporto,-  urlò.

– Fa quello che vuoi,- risposi sarcastico.

Mi girai e mi avviai verso la mensa, visto che era quasi ora. Con la coda dell’occhio mi accorsi che estraeva il suo famoso, e temuto, taccuino dalla tasca interna della giacca e ci scriveva qualcosa sopra mentre, contemporaneamente, mi veniva dietro. Io non mi voltai per non dargli soddisfazione ma sentii chiaramente il suono metallico del bidone di vernice quando lui vi mise il piede dentro, dopo di che rotolò per terra tra le risate generali.

 

Il giorno dopo il caporeparto fu convocato nell’ufficio del direttore del personale.

– Righi, ma che mi combina? Ho letto il suo rapporto su quell’operaio … Silvi … Salvi …

-Silvestri.

– Ecco bravo, Silvestri. Mi dice cos’è stà storia della mano?

– Un fatto grave, di insubordinazione, – balbettò Righi.

– Ma cosa dice?  Mi faccia il piacere. Lei con questo rapporto ha messo in ridicolo tutto l’ufficio risorse umane, se ne rende conto?

– Ma, signor direttore, la disciplina …

– Stia zitto e vada via. Stavolta mi limito solo a bloccarle lo scatto ma che non si ripeta mai più. Intesi?

– Sì, sì. Intesi, intesi …

Al caporeparto non restò altro da fare che uscire con la coda tra le gambe. Nel richiudere la porta dell’ufficio notò che sul grande calendario digitale appeso al muro di fronte lampeggiava la scritta lunedì 5 maggio.

di Ferdinando Gaeta 

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