Freud e donna Concetta

freudNella notte tra il 5 e 6 maggio 1896 Sigmund Freud fece un sogno bellissimo. Sognò di essere a Napoli.  Era in un vicolo strettissimo pieno di gente che cantava e una donna nuda con i capelli neri e il seno prosperoso, lo abbracciava e lo baciava. Fu un sogno così vivido che appena sveglio, non ebbe difficoltà a ricordarlo e a scriverlo nel taccuino che teneva sempre sul comodino vicino al letto. Appena finito però, un sorriso gli illuminò il volto. Si era ricordato che quel giorno compiva quarant’anni e quel sogno, proprio quel giorno, non poteva essere una coincidenza. Gli stava dicendo che aveva bisogno di una vacanza. Di allontanarsi un po’ da Vienna, di lasciarsi alle spalle le polemiche e le accuse ingiuste al suo lavoro.

Due settimane dopo era a Napoli. Alla stazione ferroviaria c’era ad aspettarlo il dottor Ciro Improta,  un giovane e promettente neurologo napoletano che aveva conosciuto durante un congresso a Vienna.

– Carissimo professore, com’ è andato il viaggio? –  gli aveva chiesto, premuroso.

– Benissimo, benissimo, sono solo un po’ stanco.

– Le ho trovato una pensioncina qui vicino, come mi aveva chiesto lei, così potrà stare tranquillo. Lì nessuno la conosce, è gente semplice del popolino, figuriamoci … starà benone.

– E’ proprio quello che mi ci vuole. Ho bisogno di riposo ma voglio stare in mezzo alla gente, c’è molto da imparare osservando le persone, soprattutto quelle più semplici.

– Capisco, capisco – annuì Improta  ma in realtà non capiva cosa mai ci trovasse di interessante in quel tipo di persone.

Arrivati alla pensione Stella, il giovane medico presentò subito il professore alla locandiera, un donnone enorme  con un sedere  largo quanto due sedie accostate. In cucina c’erano anche i figli: Vincenzone e Pasquale che uscirono per salutare.

– Ecco, donna Concetta, questo è il professore, mi raccomando, è “persona mia”, – poi rivolto ai due giovani, – avete capito bene, nessuno lo deve toccare, lo ha detto don Gaetano.

Al nome di don Gaetano, noto camorrista del quartiere, i due giovani scattarono sull’attenti.

– Non vi preoccupate, state tranquillo, –  dissero all’unisono.

Intanto Freud guardava fuori dalla finestra affascinato dalla vita del vicolo. Già si sentiva meglio.

Salì poi nella sua camera, disfece le valigie e  si stese un po’ sul letto a riposare. All’ora di cena scese giù per mangiare. Donna Concetta gli aveva riservato un tavolo vicino alla finestra. Da lì poteva guardare la strada e la gente che passava. Freud si sentì bene come non si sentiva da tanto tempo. La confusione di quel luogo, stranamente, gli procurava una grande calma mentale, poteva così seguire i suoi pensieri filosofici interrotti solo dal piatto di spaghetti che la locandiera gli aveva piazzato davanti.

– Sono troppi, – disse guardando quella montagna a forma di piatto.

– Troppo poco professò, troppo poco, voi dovete mangiare, siete secco secco.

Freud sorrise e affondò la forchetta nel piatto.

– Come mai siete venuto in Italia?- chiese la donna.

– Ho fatto un sogno.

– Un sogno? Che sogno?-  chiese lei, incuriosita.

– Ho sognato che venivo a Napoli e passeggiavo in un vicolo come questo… c’erano tante bancarelle, uno strano tipo con una maschera nera e una grande chiesa con dei teschi sul sagrato.

– La chiesa di San Gaetano! – esclamò la donna, poi come colta da un’ispirazione aggiunse :  – Ma voi, sapete leggere i sogni?

– Non ancora…  ma sto studiando.

– Pure voi?

– Perché  voi studiate i sogni?

– Io?- esclamò la signora quasi scandalizzata, – Sempre, tutti i giorni si può dire. Appena mi sveglio cerco di ricordarmi il sogno e poi…

– Come,  come? – incalzò Freud, – anche voi scrivete  i sogni  fatti?

– Certo, sennò come farei a interpretarli?

Freud era senza parole. Tutto si sarebbe aspettato fuorché di trovare in un’umile locandiera, una sua collega.

– Vedete, caro professore, quello che noi sogniamo non significa quello che abbiamo sognato.

– Non ho capito,- disse timidamente Freud.

– Dietro al significato apparente, c’è un altro significato che è poi il significato vero. Vi faccio un esempio: se vi sognate una casa che brucia, vuol dire che avete problemi di pancia per cui è la pancia che è importante  e  non la casa. Se vi fissate sulla casa, buttate solo i soldi.

– I soldi? Non capisco…- chiese  lo studioso che nel frattempo annotava tutto nel suo taccuino.

– Ma sì, la casa che brucia fa 9 e la pancia fa 76. Se vi giocate 9, avete buttato i soldi, capite?

Freud scosse la testa sconsolato.

– Uhè professò, ma allora voi non sapete proprio niente ,- esclamò la donna e scoppiò a ridere. Poi fece un cenno verso i figli come a dire «sostituitemi», prese una sedia e si sedette vicino al professore.  –Adesso vi spiego tutto io – disse, quasi materna.

 

La mattina dopo,  appena sveglio, Freud prese il suo taccuino,  scrisse il sogno che aveva fatto e  riempì diverse pagine  di numeri. Scese poi giù  a fare colazione.

– Che avete sognato?- gli chiese donna Concetta, appena  lo vide.

– Ecco, questi sono i numeri…- rispose lui, e le mostrò i fogli zeppi di cifre.

– Ma no, sono troppi, ne devono essere al massimo cinque.

Freud abbassò la testa mortificato. La signora capì di avere esagerato con i rimproveri e cercò di rincuorarlo.

– Vabbè, non vi scoraggiate, all’inizio è così per tutti, non è facile.

Freud piano piano cominciò a cancellare tutti i numeri che non erano importanti fino a quando non ne rimasero cinque. Finì la colazione ed uscì.

– Giocateveli subito, – disse la signora dalla cucina, – alle undici c’è  l’estrazione.

 

Quella sera stessa all’ufficio postale 43 di  Vienna  arrivò un telegramma urgente dall’Italia. Era di Freud. Avvertiva la moglie che sarebbe rimasto in Italia più del previsto ma che non si preoccupasse di inviargli altro denaro in quanto non ne aveva bisogno.

 

di Ferdinando Gaeta

 

P.S. : esattamente quattro anni dopo fu pubblicato un libro fondamentale per la psicoanalisi:  “Die Traumdeutung” ovvero “L’interpretazione dei sogni” di  Sigmund Freud.

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