Dialogo sordo

darknessUn  fiume sotterraneo che all’improvviso  vien fuori in tutta la sua violenza. Per Angelino questo liquido fuoriuscente (e fluorescente) nel senso ultimo e incombente  che gli inondava la vita, che si frapponeva tra lui e il mondo,  che gli faceva mancare il respiro,  si sostanziava in un’angoscia senza limiti.  Un’ansia incontenibile che man mano negli anni gli era cresciuta dentro, a sua insaputa.

Beh, a sua insaputa proprio no. Con dei segnali fatti di assaggi minimi, ridicoli, minuscoli,  passeggeri, che venivano a materializzarsi a distanza di giorni, mesi, a volte di anni. Ma venivano. E lui li guardava crescere dentro di sé,  non sapendo bene che fare.

La prima volta che si ricordava, era passato un millennio, fu quando mise sotto un cane con la macchina. Aveva da poco preso la patente, stava accompagnando non-so-chi-non-so-dove, e su una strada poco e male illuminata, all’improvviso,  dietro una curva spuntò dalla siepe un cane che si buttò letteralmente sotto le ruote. Angelo cercò di frenare ma la distanza era così breve che fu inutile. Sentì il rumore sulla carrozzeria, un rumore sordo e stupido che gli si ficcò nella mente, e poi un sobbalzare di ruote che passano su qualcosa. Lo pneumatico che sfregola…

Lo pneumatico che salta, che rompe, che macina qualcosa, e tu che  guidi  speri che sia una tua percezione sbagliata, fingi e speri,  magari pensi chissà  sarà stata  una pietra, un sassolino, un ramo o che so io. Ma intanto è fatta e l’episodio resta là, sospeso.

Passano alcune ore, è sera, e Angelino sta al bar con gli amici. Mentre  tutti  stanno ridendo forte per delle barzellette (dette da uno in gamba che le sapeva dire a meraviglia) proprio in quel momento, ad Angelino scese dentro,  nel corpo,   per la prima volta, un’angoscia, un’ansia, una cupezza, come non gli era mai capitato. Una tristezza così grande … che, menomale,  durò poco. Poi svanì ma non per sempre, svanì per inaugurare un sistema periodico tutto suo,  una ciclicità difficile da decifrare, forse impossibile da capire, alla fine inutile da sapere. Insomma, c’era quest’angoscia che ogni tanto lo visitava: bussava, entrava, si accomodava e quando decideva, se ne andava. Faceva i cazzi suoi, in effetti.

A questo punto Angelino cominciò a percepire qualcosa, a stare un po’ in allarme, ma mica tanto. Cominciò sottilmente, a passetti, ad odiare questa sua angoscietta, non ancora completa, ma fastidiosa quanto basta,  eppure ancora nascondibile, pensava lui. Perché Angelino sperava (più che pensava) che gli altri non la vedessero questa sua ‘cosettina’ scura che ogni tanto veniva  a fargli visita,  che lo accompagnava per alcuni tratti di strada. E così tra una visita e l’altra, su tratti di strada appunto  nascosti, meno appariscenti,  ecco che il suo malumore, il suo odio iniziale si stava trasformando in qualche cosa di bello.

Ma no, non esageriamo. Diciamo che l’odio iniziale si stava trasformando  in amicizia. Angelino faceva  amicizia con questa strana cosa che lo abitava ogni tanto. Si convinceva che in fondo non era cattiva, e che se veniva a fargli compagnia, un motivo ci doveva pur essere.

 

[Ognuno pensa, stupidamente,  che gli altri non si accorgano della bruttezza della nostra accompagnatrice. Anzi. Noi speriamo che quell’esserino informe e sbrodolante, con il muco che gli esce dal naso, e con la materia cerebrale che fuoriesce dalla testolina  venuta male,  il corpicino deforme, possa apparire agli occhi degli altri, chissà perché, bello e perfetto. Insomma,  pensiamo di occultare la nostra creatura, il mostriciattolo che ci siamo cresciuti dentro, facendolo passare per una visione quantomeno accettabile. Ma non è così].

di Francesco di Lorenzo

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