La bella scuola. Qualità e benessere.

scuolaIl discorso sulla qualità nel contesto scolastico, in questo particolare momento,  è diventato qualcosa di  non   più rinviabile. Si avverte il bisogno di passare dall’enunciazione di un’idea e di una moda temporanea, alla definizione di un’ideologia confermata. La qualità scolastica come concetto fa parte ormai dell’essenza che sta alla base dell’agire di ogni singola scuola. Come tale, ora, andrebbe esaminata  con dati empirici e non più con semplici ipotesi. A patto,  però, che si comprenda  nell’accezione di qualità anche aspetti spesso trascurati o comunque non abitualmente accettati: si tratta,  cioè, di prendere in considerazione gli aspetti  legati al lato psichico o psicologico di ognuno di noi, poiché tali aspetti interessano, o hanno direttamente ripercussioni,  sia sugli operatori della scuola che sui semplici fruitori del servizio. Parliamo, in breve,  della qualità che si lega intimamente  al  ‘benessere’ che si vive, o che si dovrebbe vivere, all’interno dell’istituzione scuola.  Forse, è arrivato  il momento che anche in questo specifico ‘contesto’ si cominci a parlare di benessere in termini finalmente nuovi. Precisando che il  benessere di cui parliamo è quella condizione psichica che ci fa stare bene con noi stessi e con gli altri e che ci dà la possibilità di aumentare la nostra efficienza in termini relazionali, diventando di conseguenza un fattore imprescindibile della qualità. La scuola non vive momenti facili, questo è un tormentone un po’ abusato, ma è anche una semplice verità. Ci sono sempre nuove richieste che vengono dagli alunni e dalla società e le risposte non sempre adeguate che l’istituzione fornisce, alimentano un clima poco positivo, con il malessere che coinvolge e travolge insegnanti ed alunni. Negli anni scorsi ci sono state le vicende relative al  ‘bullismo’ che hanno monopolizzato l’attenzione; oggi c’è la condizione non secondaria del precariato che non trova stabilità e possibili vie di uscita; c’è anche, incombente,  la frammentazione di ipotesi e intenti che accomuna gli operatori della scuola, per cui ognuno pensa di avere la soluzione in tasca che però alla prova dei fatti si rivela del tutto particolaristica, eccessivamente individualizzata, senza nessuna visione prospettica utile in generale. C’è poi anche, cadenzato come il rintocco di un pendolo  quando arriva,  il risultato delle rilevazioni internazionali, con la lamentala del mancato conseguimento di posizioni  apprezzabili nella scala  degli standard conoscitivi. Insomma, nei confronti delle altre nazioni, irilevamenti dicono che  le nostre scuole,  vale a dire i nostri alunni, non ne escono bene, non ci fanno una bella figura. Se questo poi sia vero o no, se cioè non ci sia bisogno di leggere meglio e in profondità tali  dati, alla fine importa a pochi e diventa paradossalmente irrilevante. Intanto, secondo alcune correnti della psicologia contemporanea,  si è ormai affermata  l’idea che molto del malessere che accumuliamo derivi dalla incapacità di gestire in modo positivo le nostre relazioni. Inoltre, c’è la consapevolezza che il benessere non sia una condizione data dalla nascita: in altri termini,  si può imparare a stare bene e, di conseguenza, si può anche  insegnare a farlo. Tale consapevolezza rimanda così ad un qualcosa – concetto-nozione-idea –  da cui scaturisce  che la qualità della vita si ricostruisce imparando a stare bene e quindi insegnando/imparando  il ‘benessere’. Chi ha dedicato a questo argomento studi e riflessioni è stato Enzo Spaltro dell’Università di Bologna. I capisaldi della sua idea di benessere potrebbero avere nella scuola un effetto salutare, e riuscire ad attivare un circolo virtuoso di cui si sente  sempre di più il bisogno. La definizione proposta è che “Il benessere è la possibilità e la capacità di esprimersi”. In effetti, si potrebbe ipotizzare l’idea di una vera e propria formazione del benessere, i cui punti in forma sintetica e da approfondire potrebbero essere i seguenti.

1° Punto

Partiamo dalla constatazione che viviamo in una società condizionata dal malessere. Nella scuola, termini come ‘burn out’ sono entrati a far parte del vocabolario di ogni insegnante. Ma l’argomento viene da lontano: nella scuola (in generale) si è sempre premiata la sofferenza: ‘imparare è soffrire’, la tradizione  – volenti o nolenti –  è questa. Da qui, una ‘ipotetica pedagogia del malessere’ sentenzia ‘se non fai questo – ti punisco!’. Invece, ci sarebbe da contrapporre una altrettanto ‘ipotetica pedagogia del benessere’ che dica (come assunto principale) “ se fai questo – ti premio!” Se ci pensiamo bene, nella scuola, la promessa è rara; la minaccia è frequentissima. Il passaggio verso la rivalutazione del soggetto è fondamentale per costruire il benessere, perché il benessere è esso stesso soggettivo. Quando si parla di soggetto è ovvio che si intende sia chi insegna sia chi apprende. È certo che tutti vorrebbero stare bene: c’è nel soggetto la tensione naturale verso il benessere. Ma spesso non basta il volerlo. C’è bisogno anche di sapere come fare. Dunque, chi meglio della scuola potrebbe proporsi a farlo? Un altro assunto fondamentale che scaturisce da quanto finora detto è che il soggetto non è pensabile senza pluralità e partecipazione. Come diceva Don Lorenzo Milani:“Nessuna conoscenza è vera se non è condivisa.”

2° Punto

Una volta consapevoli che il benessere non ci è dato dalla nascita, è importante capire come si fa a raggiungerlo. C’è necessità di studiare, avere voglia di apprendere con metodi antitradizionali, uscendo dal solco del già tracciato, entrando nei territori dell’inesplorato. Una delle condizioni dello ‘star bene’ essenzialmente si attiva imparando a relazionare. Nella società della comunicazione, paradossalmente spesso ci sono difficoltà nel porsi in relazione con gli altri. Imparare a farlo è indispensabile, condizionati come siamo dai surrogati della relazione, telefoni e computer. Dobbiamo porci l’obbiettivo di riuscire ad entrare in contatto con chi ci circonda e costruire rapporti significativi, non standardizzati. Naturalmente, si parla di relazione vera, quella personale e dal vivo, non mediata.

3° Punto

Una volta capito che si deve imparare qualcosa, la scuola, che è il luogo dove si apprende, diventa il fulcro di tale discorso, attivando fino in fondo la sua ragion d’essere. La scuola dovrebbe insegnare a ‘stare bene’. Questa idea, semplice e complessa allo stesso tempo, ci porta alla riflessione che se si insegna benessere, dopo diventa più facile anche insegnare e imparare tutte le materie, facendo sì che la scuola in modo serio e consapevole attui i suoi principi di efficacia e di efficienza. L’idea di una scuola che in un futuro immediato possa essere basata su queste coordinate,  potrebbe essere interessante e coinvolgente.

4° Punto

Nella scuola, oggi, il modello classico dell’allievo che impara e dell’insegnante che insegna è crollato. Le tecnologie hanno dato a tutto ciò una spallata non di poco conto. Alla consueta simmetria per cui si impara ciò che si insegna e ciò che si insegna si impara. Si sostituisce l’introduzione di altri modi di fare, ci si serve in primis della multimedialità che propone percorsi di apprendimento multidimensionali, perciò le cose non appaiono più così lineari come una volta. Ecco che allora potrebbe imporsi oggi il modello del ‘fraintendimento collettivo’: chi impara apprende sempre qualcosa di diverso rispetto a ciò che si insegna. Ad una cosa non ne corrisponde un’altra. Il modello ‘creativo’ è asimmetrico: non sempre quello che si insegna si impara. Anzi, molto spesso si imparano cose che non si insegnano affatto, o, almeno, non nel modo in cui siamo abituati a conoscere. Dice Spaltro: “Io insegno, tu puoi elaborare il mio insegnamento in tanti modi diversi, a seconda della tua creatività. Contemporaneamente, io, mentre insegno, imparo. Non esiste nei fatti una assurda e anacronistica divisione dei compiti.” Si impongono intanto alcuni profili di formazione. Il ‘Training-group’ (imparare ad imparare) è il modello di base che pone l’attenzione ai processi, invece che ai semplici contenuti. È, forse, la tecnica più espressiva delle dinamiche di gruppo. È stata ideata da Kurt Lewin, considerato il padre della teoria dei gruppi. In realtà, è stimata come una delle tecniche che più dà la possibilità di un vero cambiamento personale. Durante un ‘T-group’, sotto la guida di un conduttore esperto e di un osservatore, si sperimentano le proprie capacità di saper stare in un gruppo e si vivono ‘qui ed ora’ tutte le dinamiche che si incontrano nella vita reale. Si sperimenta la propria capacità di stare con gli altri e, in una situazione controllata, si ha la possibilità di capire i limiti e le possibilità di ognuno dei partecipanti.

5° Punto

Come suo connotato di base, l’ipotesi di una formazione dedicata esclusivamente al benessere dovrebbe,  nello stesso tempo,  segnare il passaggio da una cultura di coppia ad una cultura del piccolo gruppo. La cultura di coppia è limitante, non riesce a cogliere la forza e la complessità dei molteplici punti di vista. La cultura del gruppo mette al centro il rilancio della pluralità come riscoperta del soggetto. La soggettività si esprime nel gruppo o, altrimenti, non è valida. Così come si è già detto per la conoscenza. Insieme al corollario di una serie di concetti che potrebbero sembrare fuorvianti, ma che a rifletterci  contengono straordinarie  energie positive,  si tratta di riscoprire l’importanza dei ruoli intermedi, del ‘doppio gioco’, dell’essere al servizio di due idee contemporaneamente, di non essere solo drasticamente di un bianco o di un nero. Ma, la condizione fondamentale di una nuova visione delle cose, resta il senso dell’appartenenza. La condizione per qui il gruppo si realizza e la scuola può aspirare a diventare di qualità, è il nostro sentimento di appartenenza a quel gruppo, a quella istituzione. E per far sì che si ‘appartenga’ – dobbiamo rinunciare all’idea di essere il tutto e di voler dominare il gruppo: la nostra singola rinuncia è la garanzia che di quel gruppo faremo parte.

6° Punto

Il sesto punto è dedicato alla proposta di introdurre in modo sistematico e non sporadico nella scuola la cultura della negoziazione e della pluralità. Se si comincia a considerare il conflitto come una risorsa, si pongono le basi per il pluralismo e, quindi, per il benessere. Anche se accettare una simile condizione non è certo più comodo. Inoltre, il gruppo, avendo più sensori e più ‘occhi’, pone seri problemi al mito dell’obiettività. Su mille cose considerate come obiettive, al massimo ce ne saranno dieci veramente tali. Il resto è tutto costruito dalla soggettività. A pensarci bene, l’obiettività è solo la soggettività imposta come obiettività da chi ha la forza o il potere di imporla. L’esempio più evidente nel mondo del lavoro ci è dato dal Taylorismo, che significa unicità di comando, suddivisione del lavoro, parcellizzazione. Oggi, nessuno ne parla più. Eppure, pochi anni fa non si credeva possibile uscire da questo modello. L’esempio ci fa capire come alcuni modelli che sembravano oggettivi, in fondo, non lo erano per niente. Prendiamo l’unicità di comando: la ricerca e la pratica hanno dimostrato che non sempre è necessaria. Possono esserci due, tre capi in un gruppo: dipende dal tipo di gruppo e dalle sue funzioni.

7° Punto

Bisognerebbe, intanto, anche rilanciare l’idea della costruzione soggettiva della realtà. Tutto quello che vediamo è costruzione dell’uomo-soggetto, ed ogni uno di noi si costruisce la propria realtà. Quelle che sembrano le nozioni più obiettive (la natura, il clima) in fondo dipendono dalla nostra fantasia, dalla nostra percezione, dalla nostra capacità di costruire. Siamo abituati a pensare che la nostra soggettività non conta niente (o poco) e che tutto dipende dalla struttura e dall’economia. Invece, ormai si è capito che sì l’economia ha la sua importanza, ma è anche vero che i grandi economisti continuano a fare previsioni che poi, inevitabilmente, si rivelano sbagliate. Questo vorrà pur dire qualcosa. Noi siamo in grado di costruire la realtà. Le variabili oggettive dipendono dalla variabile indipendente che è la soggettività.  La fine del mito dell’economia la dice lunga sull’argomento. Come si è detto, gli economisti vengono sistematicamente smentiti nelle loro previsioni.   La scuola dovrebbe dotarsi (quando non lo fa o non lo fa in modo generalizzato) degli strumenti e delle persone adatte all’apprendimento e all’insegnamento delle variabili soggettive. L’individualizzazione e poi la personalizzazione dell’insegnamento,  se ci sono – sono dei passi importanti, ma, se non sono inserite in un contesto di gruppo e di appartenenza, perdono la loro energia.

8° Punto

Occorre, infine, che la scuola pensi anche alla costruzione di una nuova cultura. Perché non cominciare a considerare che la base dell’apprendimento è sabbatica? Il sabato ci attira di più: c’è il fascino dell’imminenza, delle cose non finite piuttosto di quelle concluse. Noi tutti ci accorgiamo che impariamo di più e siamo attratti dalle cose imminenti, da quelle che devono ancora avvenire, che sono in costruzione, piuttosto che da quelle finite e definite.  Contrapporre quindi il sabato alla domenica,  intesa come festa già avvenuta e riconosciuta, la domenica intesa come conoscenza già definita e conclusa.  Borges diceva che “L’imminenza di una rivelazione che sta per compiersi e non si compie, questa è forse la natura del fatto estetico.” E da qui, sarebbe poi ora di introdurre nella scuola una sorta di dimensione estetica in forma massiccia e continuativa. C’è bisogno di una considerevole dose di bellezza per far dimenticare le bruttezze che ci sono state somministrate per anni. Il benessere è sempre basato sul bello, sulla forma e sullo stile del bello; sulle cose che devono avvenire; sul trend; sulle possibilità e sul futuro. Concorrere alla costruzione di una nuova cultura con alcune di queste idee,  può essere la base di impresa o di intrapresa che, certamente, darebbe slancio e vitalità all’istituzione.

Conclusioni

Uno dei principi che dovrebbe essere chiaro nella sua semplicità è che nella scuola si dovrebbe evitare di colpevolizzare il benessere. Come nella vita di tutti i giorni, anche nella scuola si continua con quella strana forma di comportamento per cui si ha paura di ‘stare bene’. Fateci caso, è sempre difficile dire che stiamo bene: come se il nostro benessere dovesse essere causa del malessere degli altri.   Esiste poi un altro strano comportamento (nella scuola come nella vita) ed è quello per cui si chiede molto alla politica, ma si dà poco ad essa. O meglio, si chiede di risolvere i problemi, ma quasi mai si indicano le possibili soluzioni. In fondo, sono pochi quelli che vedono i problemi e dicono anche cosa si dovrebbe fare. Criticare solamente non serve a molto. Proporre soluzioni, invece, è un notevole passo avanti: significa che si è pensato, che si è ricercato, ci si è attivati.

In conclusione, l’ipotesi entusiasmante potrebbe essere questa: che la scuola diventi il centro dell’offerta del benessere, mutando la sua essenza e re-inventando slogan come “Insegnare e imparare è piacevole!” e smontando i luoghi comuni sulle materie facili e difficili (considerando che per chi piace l’algebra non è difficile studiarla). Tutti sanno che imparare è bello, eppure non si riesce a scardinare il luogo comune che è anche difficile; mentre è vero che imparare è piacevole. Convincersi (ma seriamente) che in nessun lavoro e, tanto meno nella scuola, la produttività la si raggiunge con il malessere. Il fondamento del benessere nella scuola nasce dal piacere di pensare. Se si riesce a togliere l’incrostazione intellettualistica a questa semplice verità, forse potranno liberarsi energie e positività inaspettate per la qualità. Si potrebbe così costruire una vita di qualità. Per raggiungere tutto questo ci vogliono tempi lunghi. La tendenza alla formazione del benessere, quindi, consiste nella speranza di imparare. Ma i tempi lunghi non devono spaventare. Importante è iniziare un cammino. Nessuno è insostituibile e, certamente, altri  continueranno  il percorso che si è iniziato.

di Francesco di Lorenzo

 

Bibliografia

L. Amovilli, Imparare ad imparare, Patron Editore, Bologna, 1994.

J.L.Borges, Altre inquisizioni, Mondadori, Milano, 1974.

F. Di Lorenzo, Ministri Pubblica-Istruzione, UPRESS, Format Edizioni, Bologna, 2012.

F. Frabboni – F. Montanari, Lara: nuove abilità relazionali nell’avventura scolastica, Franco Angeli, Milano, 2002.

J. Luft, Introduzione alle dinamiche di gruppo, La nuova Italia, Firenze, 1984.

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Don Lorenzo Milani, Lettera ad una professoressa, Libreria scientifica fiorentina, Firenze, 1967.

Marcel Postic, La relazione educativa, Armando Editore, Roma, 1999.

Enzo Spaltro, La forza di fare le cose, Pendragon Editore, Bologna, 2003.

Enzo Spaltro, Qualità, Patron Editore, Bologna, 1995.

Enzo Spaltro, La buona scuola, La penna d’oca, Napoli, 1997.

Aladino Tognon, Gli orizzonti del benessere: progettare qualità a scuola, La pena d’oca, Napoli, 1996.

la foto iniziale di Annetta

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dizionario dei perfetti  Copertina libro

 

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